STAMPA – Una battaglia di 20 anni fa

Redazione

CATANIA – Come di consueto proponiamo a tutti i lettori rossazzurri la rassegna stampa con le notizie più importanti presenti oggi nelle edicole nazionali e non. Gli articoli riportati sono stralci degli originali, non volti a sostituirsi a questi, pertanto invitiamo ad approfondire i contenuti presenti acquistando i giornali in rassegna.

Caso Catania, vent’anni dopo (La Sicilia 16.11.2013)

La radiazione arrivò il 31 luglio ’93: per più di un mese ci fu la madre di tutte le battaglie

“Avvocato Enzo Ingrassia, vent’anni fa ci fu il Caso Catania. Ricorda? «Con decisione assunta dai “poteri forti” della Figc, nell’ormai lontano 1993, il 31 luglio, il Catania venne radiato dai ranghi federali: si badi bene, radiato, non penalizzato nella classifica o retrocesso a una Serie inferiore. E radiazione significava la morte calcistica della Società. La decisione fu inopinata, violenta e, soprattutto, giuridicamente ingiusta, per come inconfutabilmente poi venne appurato attraverso il lungo iter giudiziario della “carta bollata” (così lo definì il compianto presidente del Catania, cav. Angelo Massimino), iter giudiziario che vide il piccolo David (il Catania) lottare per sostenere i propri diritti contro il gigante Golia (la Federazione). E ciò avvenne dapprima in tutte le sedi della giustizia sportiva e, poi, quando si rese necessario, in tutte le sedi della giustizia amministrativa, civile e anche penale. La battaglia fu vinta, però: il Catania tornò nel mondo dei “vivi”, le bandiere rossazzurre tornarono a volteggiare nel vecchio Cibali». Ma in che cosa consistette il Caso Catania? «Il “caso Catania” ebbe vasta eco nazionale; erano state, infatti, abbattute le vecchie regole di un anacronistico concetto di autonomia della giustizia sportiva, regole che consentivano alla Figc di godere, nei confronti delle società affiliate, di forti privilegi che definire medievali era un dolce eufemismo. E, così, nelle aule giudiziarie venne sì ribadito il rispetto dell’autonomia della giustizia sportiva, nell’ambito però del subordinato e più ampio rispetto delle norme di diritto civile, che nel caso de quo erano state dalla Figc ampiamente violate. Il “caso Catania” fece scuola. Le sentenze furono pubblicate nelle riviste specializzate ed inserite nei testi di diritto. Tesi di laurea ebbero ad oggetto il caso Catania, con riferimento appunto all’autonomia della giustizia sportiva nell’ambito del più ampio concetto di giustizia civile ed amministrativa». Vuole ricordare chi la aiutò nel condurre quella battaglia? «La battaglia fu vinta grazie all’apporto di un valentissimo collegio di difesa (gli avvocati Andrea Scuderi, Silvestro Stazzone, Enzo Trantino e il professore Enzo Silvestri) che ebbi il privilegio di coordinare, ma la battaglia fu vinta grazie anche al “cuore” di tutta una Città (in testa i club riconosciuti), che con grande passione ed entusiasmo fece quadrato attorno la società calcistica, non facendo mancare il suo incondizionato appoggio». Lei parla dei legali. Ma, a parte lo stesso Angelo Massimino, chi vi fu vicino? «Orbene, a parte Angelo Massimino che della “resurrezione” del Catania fu, come motivatore, sostanziale protagonista assoluto, molti personaggi a tal proposito mi tornano in mente, ma tre in modo particolare sento il dovere di ricordare. Il primo è Benito Paolone. Quando, percorrendo tutte le strade possibili, decidemmo di portare il “caso Catania” financo in Parlamento, molti furono gli amici onorevoli che si dichiararono disponibili ad aiutarci, ma fra tutti scegliemmo Benito. Lo scegliemmo per il suo cuore, per la sua passione, per il suo entusiasmo. E mai scelta fu più azzeccata. Restammo a Palazzo Montecitorio io e lui un’ intera giornata per raccogliere adesioni a una mozione presentata dal suo partito e da me personalmente elaborata. Raccogliemmo la sottoscrizione di molti parlamentari, di qualunque colore politico, perché del Caso Catania ne venne riconosciuta l’ingiustizia, ma raccogliemmo tante adesioni perché, e me ne resi conto personalmente, il prestigio, la stima, la simpatia di cui Benito godeva in Parlamento era tanta, pari alla passione e alla accoratezza con le quali, in quel frangente, difese le ragioni del suo Catania» Poi ci furono altre persone a voi vicine. «Sì, il secondo fu Italo Cucci. Parte della stampa sportiva nazionale non fu tenera con il Catania, anzi caldeggiando nuove iniziative si schierò decisamente e direi pesantemente contro. Lui, Italo Cucci, no. Quindi, il cavaliere Sebastiano Pappalardo. Ritornato nel mondo dei “vivi”, al Catania non venne, però, riconosciuta la categoria. Partimmo dal campionato di Eccellenza, un campionato locale, scarsamente appetibile dagli sponsor. Eppure, il Catania in quel momento aveva bisogno di chi economicamente lo aiutasse, apponendo il suo marchio sulle maglie rossazzurre. Bussammo alla porta del cav. Pappalardo. La risposta di quest’ultimo fu immediata, il sì fu incondizionato. Il marchio della sua azienda fu apposto inscindibilmente, e per molti anni, sulle maglie rossazzurre. E curando allora gli interessi legali di entrambe le società, posso testimoniare che quella del cav. Pappalardo non fu una scelta economica, legata cioé alla sua politica aziendale, ma fu soprattutto una scelta di cuore, a favore del suo Catania». Vent’anni sono già passati da allora. Nel frattempo, il Catania ha già disputato otto campionati in Serie A, ha vinto un campionato di B, ha saputo creare un centro sportivo che tutt’Europa invidia. «Sono passati vent’anni da quel lontano 1993 e oggi il Catania, guidato da mani esperte, naviga nelle acque prestigiose della Serie A, avendo raggiunto e mantenendo traguardi prestigiosi. È, quindi, doveroso dare merito di ciò all’attuale gestione. Però, in ogni campo, non c’è presente che non affondi le sue radici nel passato e che da esso trovi linfa per il futuro. E, allora, è giusto che si goda del presente di questo Catania, proiettandoci anche nel futuro, ma penso faccia bene all’animo di noi tutti ricordare che, se le maglie rossazzurre tornarono vent’anni fa a volteggiare su l’allora vecchio Cibali, e se ancora oggi volteggiano sul nuovo Angelo Massimino, ecco tutto ciò è stato possibile grazie all’amore, alla passione di un’intera città, nonché alla dedizione di molti personaggi, e primo fra tutti colui al quale la Civitas ha voluto dedicare appunto il vecchio Cibali. Ma se il tentativo di vent’anni fa non fosse servito, che cosa sarebbe accaduro? «Certo, se nel lontano 1993 la resurrezione del Catania non si fosse realizzata, cioé se la battaglia giuridica non fosse stata vinta, è probabile che un altro Catania sarebbe sorto, ma quello non sarebbe stato il nostro Catania, quello dei Marcoccio, dei Di Bella, dei Mineo, dei Maltese, dei Bearzot, dei Vavassori, dei Michelotti, dei Prenna, dei Sorrentino, dei Cantarutti, dei Ciceri, degli Spagnolo. Insomma, non sarebbe stato il Catania che, poi, per tanti anni fu il Catania di Angelo Massimino! Forse, un Catania, quello di allora, più artigianale, più ruspante, più casereccio, certamente e, in ogni caso, meno industrializzato, ma in fin dei conti un Catania che aveva il profumo della genuinità, della passione e dell’entusiasmo. Un Catania che aveva il profumo del correre allo Stadio con il boccone in bocca del pranzo domenicale o, addirittura, senza aver pranzato e, una volta arrivati sugli spalti, se pioveva, inzupparci sino alle ossa, o nelle giornate di sole, arrostirci come peperoni. Ma, in ogni caso, incuranti di tutto ciò e rallegrati dalla calda voce di Rabagliati, che inneggiava una nota marca di supermiscela, «che celava dentro un dolce mistero», o con i brividi che ci correvano lungo la schiena quando la spensierata voce di Natalino Otto ci ricordava che “il campo era già gremito, la folla era esultante, e adesso lo squadrone scenderà in campo con maglie rossazzurre e con stemma l’elefante…”. E, sì, non c’è dubbio, era quello di allora un Catania, per lo meno nei nostri ricordi, più profumato, fors’anche perché più profumati erano allora i nostri anni, quelli della nostra giovinezza».

Clausola compromissoria fu la fine di una regola (La Sicilia 16.11.2013)

“Trentuno luglio 1993, ore 12, mezzogiorno di fuoco: il Consiglio Federale, al termine della rituale riunione per le iscrizioni ai campionati – una specie di forca caudina, perché c’era di tutto, anzi di più: assicurazioni o fidejussioni false, bilanci da profondo rosso, giocatori con i bagagli pronti a lasciare il ritiro di una squadra, esclusa dal campionato di appartenenza, per approdare in un altro club, naturalmente a costo zero – decretò la radiazione del Catania Calcio ‘46 per inadempienze con l’Erario e con gli enti previdenziali. In pillole, il contrasto nacque, soprattutto, perché il Catania ritenne di non pagare tasse e contributi previdenziali, approfittando della speciale legge per il terremoto del ‘90, quello di Santa Lucia, quindi rateizzando il tutto. La Federcalcio, invece, non volle saperne, pretese la fidejussione sull’intera somma. E, a questo punto, nacque un caso, il caso Catania, che scosse il Palazzo della Figc dalle fondamenta, perché alla fine, con la vittoria su tutti i fronti della società rossazzurra di Angelo Massimino, cavaliere del lavoro, cancellò di fatto un principio sul quale faceva leva tutta la giurisdizione sportiva, sino ad allora considerata autonoma da quella ordinaria, grazie a una specie di ius primae noctis, la clausola compromissoria: i club calcistici, infatti, non potevano tirare in ballo la giustizia ordinaria, se non autorizzati dalla stessa Federcalcio. Per essere più specifici, una scadenza di pagamento dev’essere consinderata perentoria oppure no? La «guerra della carta bollata», che diede ragione al Calcio Catania ‘46, sconvolse il mondo del calcio, restio agli aggiornamenti dovuti ai continui cambiamenti della società civile. Insomma, nei primi giorni di settembre del ‘93, il Catania salvò la propria esistenza, pur dovendo ripartire dal campionato d’Eccellenza, quindi dal calcio dilettantistico. Ricordate Ganci, la battaglia di Milazzo, la passerella sul campo dell’Astrea, il club delle guardie carcerarie? Quel periodo, un’estate caldissima, vissuta prima in maniera quasi anonima, ma quasi subito con l’appoggio di una città intera, va senz’altro ricordata, anche perché, se non si fosse condotta quella battaglia, oggi ci sarebbe stato magari un altro Catania, ma chissà in quale categoria.


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