Cabale, numeri e nomi da dimenticare: divagazioni su una vittoria in trasferta

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Claudio Spagnolo

Adesso non andiamo a dire che a Cosenza il Catania ha vinto per fortuna o per errori arbitrali. Per quella volta che i rossazzurri hanno conquistato il successo in trasferta, è giusto riconoscere che l’hanno fatto con le loro forze. Senza neanche quel poderoso fattore C con cui avevano sbloccato le partite contro Lecce o Vibonese. Niente da obiettare. Anche se la conquista dello scalpo del Cosenza – che dopo un anno circa va finalmente a sostituirsi a quello della Lupa Castelli Romani, ultima vittima delle nostre resistibili scorribande in terra straniera – resta pur sempre, per il  Catania, un evento da ricordare. E che forse, lasciata da parte la fortuna, merita di essere celebrato con un po’ di cabala: con l’arte, cioè, che cerca di tratte un senso da materiali in genere inerti quali numeri, lettere o segni.

I numeri, appunto. Vediamo: a Cosenza, l’assenza più pesante per Rigoli era certamente quella di Biagianti, il giocatore con la maglia numero 27 nonché capitano della squadra. E a che minuto il Catania ha segnato il suo primo gol? Appunto al minuto 27 del primo tempo. Una semplice coincidenza, si dirà. Senonché anche il secondo gol del Catania è arrivato allo stesso minuto della ripresa: il minuto 27. Che peraltro, sommato ai 45 del primo tempo, dà come risultato il 72: e cioè lo stesso numero 27, seppure a cifre invertite.

Qualche secolo fa ci si sarebbe potuti sbizzarrire, se ci si fosse trovati per le mani numeri come questi. Chissà quante ne avrebbe pensate Dante, convinto com’era che tutto l’universo ruotasse intorno al numero 3, e certo consapevole e il 27 altro non è che il numero 3 elevato alla terza, la terza potenza del numero 3, e insomma un numero strettamente legato alla perfezione. Prova ne sia il fatto che le cifre che lo compongono, 2 e 7, producono appunto il numero 9, in cui il divino poeta non identificava peraltro la maglia di Paolucci, bensì il più perfetto concentrato di bontà e di bellezza che l’universo potesse offrire.

Ora, nell’improbabile ipotesi che qualche lettore abbia fin qui resistito al legittimo desiderio di abbandonare il discorso non senza prima avermi preso per scemo, vorrei aggiungere che, sì, sono anch’io convinto che la vittoria di Cosenza abbia un che di cabalistico. Ma non tanto per via dei numeri, della dolce magia del 27. Piuttosto, in ragione del luogo in cui l’evento è maturato. Luogo che, se è vero che i nomi e anche i cognomi debbono avere avuta una qualche ragion d’essere e una precisa origine, può alimentare probabilmente il dubbio merito di aver dato i natali a qualche progenitore, capostipite, antenato o persona a ogni modo imparentata con la risorsa di Miami; con l’uomo che, dopo aver portato in giro per il mondo l’italico cognome di Cosentino, è venuto a mostrare i suoi miracoli qui nell’estremo sud d’Italia, producendo quei danni e conseguenze che ancora paghiamo.

Meno male che domani si gioca e che – benché, dopo questa attesissima vittoria in trasferta, saremo un po’ tutti tentati di ripetere pedissequamente sotto forma di rituale scaramantico i gesti e le azioni che l’hanno accompagnata – queste cabale, presto, ce le scorderemo. Il numero 27 tornerà presto, speriamo, ad essere solo la maglia di capitan Biagianti. Magari potessimo dimenticarci altrettanto facilmente anche del resto: di Cosenza, di Cosentino, dei treni che ci hanno accompagnato e ci accompagnano lungo queste periferie di Lega Pro.