Il Calcio Catania e gli arbitri cornuti: un buffo mistero antico quanto il mondo

Claudio Spagnolo

Una cosa che non ho mai ben capito, e che vorrei tanto che qualcuno mi spiegasse, è perché a certe categorie di persone – in primo luogo ai mariti vittima d’infedeltà coniugale – si applichi il non troppo benevolo epiteto di cornuto. È un mistero, antico quasi quanto il mondo. Un mistero che non trova spiegazione nel regno animale, in cui, semmai, sfoggiare un elegante paio di corna pare piuttosto segno di forza e virilità che del suo contrario. Un mistero per la cui soluzione si sono sempre sprecate le ipotesi: tutte più o meno dotte, tutte più o meno convincenti. E tutte, a conti fatti, più o meno fantasiose.


Adulterio e zoologia

C’è chi propone una spiegazione zoologica e riconduce la cosa, semplicemente, al  maschio della capra. Argomentando che gli esemplari di tale specie, segnatamente della metà femminile di essa, mostrano una certa qual disinvoltura e naturale incostanza nella scelta del partner. Ciò potrebbe averci indotto, per traslato, a rappresentare il marito tradito con le fattezze del sullodato animale: quella bestia, volgarmente detta becco, le cui vistose protuberanze frontali sono poi passate a decorare metaforicamente la testa di altre categorie di persone. Le stesse che amareggiano la nostra vita di tifosi del Catania, come ben sa chiunque abbia alle spalle qualche anno di tifo, passione e sofferenze ingiuste.


Le corna come allegoria

C’è  anche chi, preferendo percorrere le vie di un ragionamento più sottile, individua nelle corna una rappresentazione allegorica, l’immagine visibile e concreta di un concetto astratto di altrimenti difficile illustrazione. Il marito tradito – ragiona chi afferisce a questa raffinata linea di pensiero – è sempre e immancabilmente l’ultimo a sapere, l’ultimo ad accorgersi, l’unico a non a vedere. Mentre al contrario, prima d’esser note a lui, le poco onorevoli faccende di casa sua sono esposte alla curiosità, ai racconti e alla cattiveria di tutto il resto della popolazione. Ora, di questa non infrequente situazione le corna rappresentano in effetti la più efficace illustrazione visiva. Poiché chi porta in testa questo genere di impalcatura è appunto l’unico a non poterla vedere, mentre chiunque altro la nota al primo sguardo. E l’addita ammiccando al vicino, all’amico, al conoscente…


Il labirinto dei cornuti

C’è poi l’ipotesi mitologica, che ci conduce fino a Creta. Dove un bel giorno, per maledizione divina, la regina Pasifae, moglie di re Minosse, ebbe a invaghirsi nientemeno che d’un toro. Giungendo financo – la scostumata – a congiungersi con esso, non senza essersi preventivamente trasfigurata in una falsa vacca di legno. Dal mostruoso connubio nacque, come è noto, il Minotauro. E benché la spiegazione sembri qui un po’ zoppicare – per ragioni tecniche, infatti, le corna in testa spuntano al povero figlio di Pasifae, non certo al marito tradito – qualcuno ipotizza che i cretesi, a dileggio del loro re, facessero di nascosto con la manina il segno delle corna: con la comprensibile intenzione di alludere continuamente alla vergogna di quel figlio tanto poco somigliante. In seguito però – attenuatosi il clamore per la turpe vicenda – quel gesto sarebbe stato per sempre associato alle disavventure di alcuni mariti. E così è continuato ad avvenire, da quel tempo lontano fino ai nostri giorni.


Da Bisanzio a Curiale

Poi ci sarebbe anche un’ipotesi bizantina, e magari ce ne sono anche altre che adesso non mi vengono in mente. Il problema è però che, quand’anche trovassimo la spiegazione giusta, non saremmo ancora che all’inizio della questione. Giacché, una volta che si stabilisse l’origine della metafora, resterebbero da spiegare due cose: primo, perché mai le corna, dalla testa dei mariti traditi, siano inspiegabilmente migrate su quella di un’altra categoria di persone, ovverossia gli arbitri di calcio. Secondo, perché mai gli arbitri cornuti – a volte così cornuti da far apparire tignoso il più maestoso dei cervi – ce li debbano mandare tutti a dirigere le partite del Catania. Circostanza, questa, di cui la lunghissima storia rossazzurra reca esempi frequenti e famosi: così tanti, che poco può aggiungere la stravagante applicazione della regola del fuorigioco a quel bel gol segnato da Curiale, domenica sera, nel primo tempo di Catania-Matera.

Anche se, certo, a riguardare l’azione, uno se lo chiede: ma cosa aveva in testa l’arbitro, o forse il suo guardalinee, quando ha deciso di annullare questo gol?