Catania, inutile concentrarsi sul campo. Fallimento frutto del “gioco” societario

Fabio Di Stefano

A che gioco sta giocando il Catania?

Che i problemi del Catania risiedano fuori dal rettangolo verde ancor prima che dentro, è ormai evidente a tutti. Tranne a quelli che fingono o preferiscono fingere di non capire. Altrimenti non sarebbe spiegabile come alcuni giocatori o tecnici che in passato avevano fatto sempre bene, si trasformino, in negativo, non appena mettono piede a Torre del Grifo. E viceversa. Oramai nemmeno i massimi dirigenti rossazzurri riescono a essere persuasivi quando provano a normalizzare, a parole, la situazione della società. Prima parlano di crisi, poi di miracolo nella ristrutturazione del debito. Senza mai aver messo a disposizione il bilancio della società. Un giorno parlano di futuro del club, di mercato di gennaio, di rivoluzione, il giorno dopo ci si accorge che il direttore sportivo andato via non è ancora stato rimpiazzato. Rassicurano che il Catania sia pronto a investire, e sui giornali dopo poche ore si legge della crisi (anche) di Forté (dopo il crac di Wind Jet e la cessione degli alberghi), talmente pesante da spingere alla vendita, e di fornitori che vanno via (Magni Service) dopo anni di fedelissimo e riverente servizio. E la domanda sorge spontanea: investire i soldi provenienti da dove, se la serie C è un campionato in perdita e le aziende più floride di Pulvirenti sembrano tutte appassite? Ma soprattutto, prima di ogni altra domanda: a che gioco sta giocando la società?

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