Il contrappasso beffardo di perdere con Rigoli: una lezione che ci può servire?

Claudio Spagnolo

Era probabilmente già scritto, nei beffardi piani del dio del calcio, che la prima sconfitta interna di stagione dovesse venirci proprio per mano del buon Pinuccio Rigoli. Ossia dell’allenatore che lo scorso anno ci ha fatto tutti scimunire alla vana ricerca di un perché: non riuscendo nessuno di noi a spiegarsi il fatto che la squadra da lui allenata, in casa, procedeva come un caterpillar, mentre in trasferta si adagiava docilmente sul suolo per lasciarsi asfaltare da ogni tipo di avversario.

Ed era forse già scritto, questo curioso contrappasso, fin da quando in Coppa Italia il buon Rigoli ci agitò davanti, per due buoni terzi di partita, l’incubo di venirci a battere a casa nostra. E ci fece poi l’immensa cortesia di farsi sconfiggere in rimonta: illudendoci che questo fosse il suo destino, e che di squadre come la sua noi non ci dovessimo in fondo preoccupare.

Ci siamo svegliati bruscamente da questa illusione e vista così, in fondo, la sconfitta con la Sicula Leonzio può perfino essere salutare. Proprio perché ci ricorda che, a dispetto delle sei vittorie consecutive di cui ben tre fuori casa, non disponiamo di una squadra destinata ad ammazzare il campionato. Un vaticinio, questo, che dovremmo anzi rigorosamente astenerci dal pronunciare. Non foss’altro per prudente scaramanzia: perché l’ultimo campionato che c’eravamo proposti di ammazzare è stato quello di serie B, nel quale eravamo scivolati quasi per sbaglio, e dal quale ci era stato promesso di venir fuori facendo intorno a noi il deserto. Si è poi visto, purtroppo, con quale costrutto.

Quest’anno però – a giudicare da quanto finora si è visto – abbiamo una squadra, in molti sensi, forte. Forte nella fisicità dei suoi difensori centrali, che per tante partite hanno resistito con marmorea imponenza agli attacchi avversari senza far correre un solo rischio al portiere Pisseri. Forte anche nel carattere: perché niente mi leva dalla testa che, se anziché il Catania di Lucarelli fosse sceso in campo quello di Rigoli o quello di Giovanni Pulvirenti, molte delle partite che abbiamo fin qui portate a casa le avremmo immancabilmente perdute. Lo stesso Lucarelli, sabato sera, ha mostrato la forza di ammettere onestamente gli errori e di non cercare alibi per la sconfitta. Sì, probabilmente abbiamo una squadra forte in molti aspetti. Ma ancora un po’ fragile in altri.

E sappiamo quali. Innanzi tutto, da diversi anni a questa parte, non ci riesce di pescare sul mercato il centravanti che ci serve. Il corrispondente di quel che fu qualche anno fa, nel Catania di Mihailovic, il Maxi Lopez della sua prima stagione italiana; o – per ridurre il discorso a proporzioni più realistiche – l’equivalente di quello che, ai tempi della serie C con Gaucci, fu per noi Alessandro Ambrosi.

Poi, forse, non è nemmeno giusto prendersela solo con gli attaccanti. Se in partite come quella di sabato scorso l’unica speranza di vedere le punte lanciate a rete è che il nostro centrocampo sia scavalcato da un millimetrico e salutifero lancio di Lodi, proveniente da trenta o quaranta metri più indietro, vuol dire che qualcosa, nel suddetto centrocampo, non funziona ancora a dovere. E a proposito di Lodi: quante volte, quest’anno, ci è capitato di vederlo sfidare il portiere avversario dalla mattonella dei suoi calci di punizione? Meno di quanto avremmo voluto. Per il semplice fatto che qualcuno, le punizioni dal limite, deve prima conquistarsele. Magari tagliando il campo in verticale con la sbarazzina impudenza che abbiamo visto sabato, a tratti, solo nei ragazzi di Rigoli. E facendolo con un ritmo un po’ meno compassato di quello a cui attualmente gira il nostro centrocampo.

Fin qui Lucarelli, più che nell’inventare trame di gioco, è risultato bravo in altro. Soprattutto nell’affrontare il male che da anni sta nella testa dei nostri giocatori. Quello che aveva fatto del Catania una squadra incapace di giocare decentemente e con un minimo di personalità fuori dal suo stadio. E fin troppo incline, in compenso, a reagire con impotente sconforto o con stupida rabbia alla frustrazione di cui facilmente cadeva vittima. Un lampo di questo brutto Catania del passato l’abbiamo visto accendersi proprio sabato, nel finale, quando Bucolo si è fatto buttare fuori facendoci capire in anticipo che la partita non l’avremmo più raddrizzata. È stato probabilmente – o almeno ce lo auguriamo – un occasionale flashback, la conseguenza di un cedimento nervoso di quelli che in una stagione, fatalmente, capitano a tutti. Questo, almeno, ci hanno fatto capire le parole di Lucarelli. E questo speriamo ci ripetano, non a parole ma con i fatti, i rossazzurri che giocheranno sabato prossimo, sul campaccio di Reggio Calabria.