Fattore campo, l’incognita oscura che frena la corsa del Catania

Foto: Matteo Bondioli - Flickr.com
Claudio Spagnolo

Una cosa che del calcio non ho mai capito bene è il motivo preciso per cui una squadra debba giocare in un modo in casa e in un modo completamente diverso in trasferta. Non c’è concetto più impalpabile, più difficile da definire, più sfuggente di quello designato dall’espressione fattore campo. Pure, indubitabilmente, il fattore campo esiste. Al punto che anni fa – quando, giocando dopo tanti anni il suo primo campionato di serie A, il Catania si trovò lungamente in esilio dal Massimino per i fatti del 2 febbraio – alcuni professori di Economia, di fronte alla lunga catena di sconfitte subite dai rossazzurri in campo neutro e senza pubblico, produssero perfino uno studio sull’argomento. Senza che ciò abbia sciolto il mistero sulla natura metafisica di questa entità.

Che il fattore campo abbia a che vedere con il campo propriamente detto può accadere in certi casi: ma si tratta di eccezioni. Squadre come la Juve Stabia, che dispone di un velocissimo fondo sintetico, sono probabilmente agevolate dal terreno di gara per ragioni di natura propriamente tecnica. Ma se riflettiamo che negli ultimi mesi il Catania è passato indenne dalle metamorfosi stagionali del terreno del Massimino (che abbiamo visto trasformarsi da prato in risaia, da risaia in frigidaire, da frigidaire in orto coltivato a cucurbitacee, senza che da ciò il rendimento interno dei rossazzurri sia stato sostanzialmente condizionato) è perlomeno dubbio che la definizione dell’incognita possa esser ricavata dalla semplice morfologia del prato.

Poi c’è, certo, la questione del dodicesimo uomo. Che un po’ per tutte le squadre si dovrebbe identificare con il pubblico, con la sua capacità di trascinare i propri uomini e frastornare gli avversari, e in definitiva con una sorta di chimica del coraggio che, in qualsiasi maniera ciò accada, certamente condiziona il rendimento dei calciatori. Senonché il Catania da trasferta anche in questo caso non ci offre conferme certe, avendoci regalato momenti di panico esterno non al cospetto del pubblico del Maracanà, ma perfino degli sparuti e tutto sommato placidi sostenitori di un Melfi o di un Unicusano Fondi. E a dispetto di nutrite pattuglie di sostenitori disposti a sobbarcarsi i viaggi più impensati per fargli sentire, a gran voce, l’aria di casa.

Sicché, a fronte della fatica che da lunghi anni, e a prescindere dalla categoria, la nostra squadra dura a vincere in trasferta, verrebbe voglia di ricorrere a qualche spiegazione climatologica: come se i giocatori rossazzurri non sapessero giocare senza il sole della Sicilia, senza quel sole violento e sfacciato che magari narcotizza gli avversari e sembra fornire ai nostri robuste cariche d’energia. Senonché ci torna alla memoria un Catania che, nemmeno troppi anni fa, aveva imparato a vincere lontano da casa esattamente come faceva al Massimino. Il Catania di Pasquale Marino, quello che trionfalmente scalò la vetta della serie B vincendo fuori casa la bellezza di dieci partite su diciannove  disputate. Dimostrando in quella occasione che il fattore campo esiste soprattutto nella testa dei giocatori. E che questi ultimi, a saperli guidare come si deve, possono giocare il calcio che sanno su ogni terreno e davanti a ogni pubblico. Punto.

Tra i motivi per cui Pino Rigoli mi sta simpatico c’è il fatto che, a sentirlo parlare con quell’impasto squisitamente siciliano, mi viene in mente l’eloquio flemmatico e familiare di Pasquale Marino. Tra le ragioni per cui non sono certo che sia lui il condottiero adatto a portarci fuori dalla Lega Pro, c’è il fatto che fatico a trovare altre somiglianze con Pasquale Marino. Ma posso sempre sbagliarmi. Di certo, dalla prossima trasferta non ci saranno più alibi. Perché logica vuole che la musica cambi, ora che in attacco si può disporre di un Tavares e di un Pozzebon. Se così non fosse, vorrebbe dire che il fattore campo ce l’abbiamo proprio in testa. E oggi sarebbe ancor più duro doverlo  ammettere, specie dopo aver visto la nostra squadra annullare il malcapitato Matera. Dimenticandosi la paura e facendoci dimenticare, per novanta minuti, che avevamo di fronte la squadra più forte del campionato.