Maglia azzurra, cuore rossazzurro: il derby mancato dell’ex Baiocco

Claudio Spagnolo

Chissà se è poi dispiaciuto a Davide Baiocco non giocare quella che i suoi attuali tifosi hanno, un po’ troppo enfaticamente, battezzato come la partita del secolo. Se è stato scontento di saltare un derby quantomai sentito a Siracusa in cui avrebbe avuto contro, e non indosso, la maglia rossazzurra. E chissà con quanta convinzione si era prestato, nei giorni precedenti, a girare con i suoi compagni un filmino in cui scorrazzava palla al piede per le vie della città, invitando pubblico e tifosi azzurri, nientemeno, a scrivere la storia. Bah.

Lasciando per ora stare il genere di storia che alcuni tifosi aretusei hanno deciso di scrivere – se ne parla ampiamente altrove, in queste pagine – sarei curioso di sapere cosa davvero passa per la testa di un giocatore che ha vissuto, con la maglia rossazzurra indosso, i momenti forse più intensi della sua carriera. E di sapere come Baiocco avrebbe sentito lo scontro in campo con un acerrimo rivale che, per lui, non deve essere affatto acerrimo e probabilmente non è nemmeno un rivale.

E, certo, mi piacerebbe anche pensare che nella scelta di tenere Baiocco fuori dalla partita di sabato possa aver pesato una questione, diciamo, di cuore. Mi piacerebbe pensarlo, se non altro per via di quella sospensione dell’incredulità che – nel calcio come a teatro, al cinema e in ogni altra arte in cui la finzione prende per un paio d’ore il posto della realtà – ci trascina davvero a voler credere che quei giovanotti con indosso la nostra maglia sentano per essa ciò che sentiamo noi. Facendoci scordare che il calcio – anche al netto di tutta la sporcizia che in esso circola, e che ne fa purtroppo uno degli sport meno limpidi del pianeta – è comunque per chi lo gioca una professione che non permette di affezionarsi oltre il tempo necessario a un simbolo, a una maglia, a dei colori.

E mi conforta anche, in questo pensiero, il fatto di non riconoscere Baiocco tra i giovanotti allegri e mezzi ignudi che, a fine partita, hanno voluto farsi immortalare mentre, nello spogliatoio, giustamente festeggiavano la vittoria appena conquistata.

Però, pensandoci bene, se anche Baiocco avesse giocato la partita di sabato, se anche ci avesse fatto gol e perfino se avesse esultato, alla fin fine non me se sarebbe importato molto. Per la semplice ragione che per me a Siracusa, con buona pace di alcuni accaniti ultras che abitano quella bella città, c’è semplicemente una delle tante squadre che giocano nel campionato di serie C. E che si fa fatica, guardando la cosa da questa parte, a definire derby la partita con il Siracusa e a dare a essa tanta importanza. Forse non l’avrei perdonata a Baiocco se avesse giocato, segnato ed esultato, in ipotesi, con la maglia del Palermo. Anche se poi pure questo può succedere, nel calcio in cui le bandiere non sventolano ma vengono strappate via dal vento.

Come può succedere pure che il Catania perda alla fine di una gara, come quella di Siracusa, che avrebbe benissimo potuto vincere. Succede. Non può succedere tutto il resto, però. Né che i tifosi di casa scorrazzino per il campo e si incontrino muso a muso con i giocatori avversari. Né che le forze dell’ordine lascino fare, come se il precedente di Coppa Italia – con i sostenitori rossazzurri assediati per un pomeriggio dentro lo stadio, e con gli ultrà di casa che anche in quel caso hanno attraversato senza problemi il terreno di gioco – fosse passato senza lasciar traccia. Né infine che il presidente della squadra locale non senta il bisogno di dire una parola su quanto è successo, e se ne esca anche dicendosi orgoglioso dei suoi tifosi. Suvvia.

Va bene che a Siracusa, prima della partita, si suona Azzurro di Celentano. Ma ciò non toglie che il De Simone è uno stadio. E che non si può gestirlo come l’oratorio di cui alla canzone.