Mister Rigoli, ci faccia divertire: il tifo tra impazienza e ironia

Fonte: Facebook, La domenica allo stadio
Claudio Spagnolo

E vabbè, mister Rigoli, l’importante è che non perdiamo l’ironia. Sono certo che Lei non si è offeso, una settimana fa, quando su Facebook i tifosi hanno sfogato il loro malumore approfittando del casuale accostamento di suoni che costituisce il Suo cognome, e dando perciò dei ri(di)goli agli undici uomini undici che, a Francavilla, s’erano fatti mettere sotto da un avversario in inferiorità numerica. Un avversario che avrebbero dovuto mangiarsi con forchetta e coltello. E sono convinto non se la sia presa neanche durante la settimana, quando qualunque discussione sul Catania, anziché rivolgersi speranzosa a cosa avesse Lei in mente per battere la Vibonese, insisteva a domandare indispettito come diavolo avevate fatto, Lei e i suoi undici giocatoroni, a perdere in quel modo contro i dieci sconosciuti di Francavilla.

Lei è una persona perbene, su questo non c’è dubbio. E credo che non si sia offeso nemmeno ieri, prima della partita. Quando, appena tirato fuori il naso dagli spogliatoi, s’è sentito restituire dalla Curva Nord l’umiliazione di domenica scorsa sotto forma di una lunga, stridente, sonora fischiata. E non se la sarà presa più di tanto nemmeno durante la partita stessa, nel primo tempo, quando la Vibonese ha colpito due traverse nella stessa azione, ed è stata la Tribuna B a tessere, altrettanto spietatamente e non meno sonoramente, le Sue lodi di tecnico. Lo sappiamo bene, del resto: queste cose capitano anche ad allenatori più navigati di Lei.

Spero che non si sia offeso nemmeno quando la Nord – che raramente, Lei lo sa, si lascia sfuggire un’occasione per rinfacciare a chi lo merita la vergogna chiamata Treni del gol – ha chiesto, a mezzo d’uno striscione, se non si potesse, a proposito di treni, staccare un biglietto anche per Lei. E mi auguro che avesse altro a cui pensare quando l’intero stadio, distogliendo lo sguardo dal povero spettacolo offerto dai giocatori in campo, s’è additato con aria di complicità quello striscione, in un’ola di amara ironia consumata, inevitabilmente, alle sue spalle. Porti pazienza.

Ci vogliono spalle larghe per allenare il Catania, questo Lei lo sa. E sono certo che Lei sia il più dispiaciuto di tutti per aver perso un momento la pazienza, dopo la partita, in conferenza stampa, accusando di aver  detto fesserie un cronista il cui unico torto era quello di essersi un po’ stupito delle Sue scelte di formazione. Ne sono certo anche perché Lei, da persona perbene qual è, si è poi scusato. Lo so, del resto, che voi allenatori siete fatti così: prendete spesso la decisione meno prevista, a volte la più illogica se guardata dal punto di vista di noi tifosi. E quella volta che il risultato vi dà ragione – sia pure grazie a una botta di fortuna con la C maiuscola, ieri manifestatasi sotto forma di una deviazione che ha reso imparabile un altrimenti resistibile tiro di Mazzarani – quella volta almeno non vorreste che vi si rompessero gli zebedei criticando il vostro operato. Contano il risultato, i punti, i maccheroni che riempiono la pancia. Almeno stavolta, lo capisco, Lei vorrebbe sentirsi al riparo dalle critiche.

Però mi creda, mister Rigoli, non è possibile. Perché uno se lo chiede, ad esempio, per quale ragione – assodato che il terreno del Massimino misura, in larghezza, la bellezza di sessantotto metri – le azioni d’attacco della squadra da Lei messa in campo si ostinano spesso, per gran parte della partita, a voler passare esattamente dal metro trentaquattro, ossia dalla strettissima direttrice che collega i due dischetti del rigore attraversando proprio il centro del campo. O perché – per una quantità di minuti che a chi guardava la partita è apparsa infinita – la sapienza tattica che Lei avrà certamente dispensato alla squadra si sia sostanziata solo nello scaraventare palloni lunghi verso il povero Anastasi, costretto a un pomeriggio di salto in alto per buttare la palla, quando riusciva a prenderla di testa, dove non c’era nessuno disposto a raccoglierla. E ancora perché, quelle rare volte che i giocatori del Catania si accorgono che, come detto, il campo del Massimino misura in larghezza sessantotto metri, o scoprono che anche gli altri campi di calcio hanno più o meno la stessa misura, lo fanno per passarsi la palla in orizzontale da una parte all’altra del terreno di gioco, senza di solito farla avanzare di un centimetro nel fronte d’attacco. Perché?

Se vale qualcosa il modesto parere di chi, come me, ama il calcio senza capirne granché, direi che il perché sta nel fatto che il Catania da Lei allenato in quanto a gioco non è ancora una squadra. Che il suo gioco dipende fin troppo dall’estro individuale di un singolo calciatore che imbrocchi la giornata giusta – come domenica, grazie a Dio, è successo a Russotto –, dalla grinta dei pochi che giocano sempre col cuore – come domenica, e non solo domenica, ha fatto Di Cecco –, dallo stato di grazia di un portiere – Pisseri – cui dobbiamo, finora, almeno cinque o sei dei punti che rendono appena decente la nostra classifica. E infine da quel fattore C che ci ha permesso di sbloccare la partita con il Lecce, e quella di ieri con la Vibonese, ma che non può certo, per legge statistica, accompagnarci a ogni domenica o sabato che Dio manda in terra. Tant’è vero che, se da un lato già ci è capitato di vincere senza merito, ci è occorso anche, al contrario, di raccogliere meno del giusto quando il dio del calcio ha voluto che fosse così.

Non s’arrabbi, perciò, se il risultato – quando viene e comunque venga – non ci basta. E se non ci convince – anche se speriamo d’aver torto – la prospettiva di una squadra che, giocando così, pretenderebbe non solo di arrivare ai play off, ma addirittura di puntare a vincerli. Non si stupisca se abbiamo sempre la pretesa, quando vediamo giocare il nostro Catania, di divertirci almeno un po’. Non perché ci entusiasmi il bel gioco fine a se stesso, ma perché sappiamo che senza un po’ di gioco in campo, nella situazione in cui ci troviamo a vivere, non vedremo lustro per chissà ancora quanto tempo. E ne è passato, di tempo, da quando stiamo al buio.

Vogliamo divertirci almeno un po’, tutto qui. E dunque, riuscendoci assai di rado per i meriti dei nostri ragazzi in campo, non ci resta che farlo sorridendo delle nostre disgrazie. Cerchi di sorridere anche Lei, mister Rigoli, che è davvero una persona perbene. Ma faccia qualcosa – sia gentile – per farci divertire anche con il gioco del pallone.