Russotto e il sogno di Diawara: gli errori che non possiamo più permetterci

Claudio Spagnolo

Magari sarà colpa della mia incrollabile fede antijuventina, o di quelle maglie gialle della Juve Stabia che un po’  ricordavano quelle del Chievo. Non lo so, sta di fatto che lunedì sera, fino all’ultimo minuto, ho sperato che il Catania potesse far festa come il giorno prima aveva fatto il Napoli. Che acciuffasse per i capelli un risultato in principio dato quasi per scontato, poi impazientemente atteso, e infine apparso quasi inafferrabile per gli imprevisti sviluppi del gioco lì sul campo.

Non è andata così, ci sono rimasto male, ma non mi rammarico di averlo sperato. Avremo pur diritto di sperare quel che ci pare, noi tifosi stremati da tre anni di serie C. E di trovare dove capita qualche conforto, quando sembra di nuovo lontano il traguardo che, finalmente, eravamo arrivati a vedere all’orizzonte. Il guaio è, mi pare, che gli stessi pensieri che sono venuti a me deve averli avuti anche Andrea Russotto. Il quale deve essersi talmente immedesimato in Amadou Diawara, eroe solitario dell’insperata vittoria del Napoli, da voler tentare, con esiti che è meglio tacere, l’identica soluzione del tiro a giro sul secondo palo per risolvere da solo una partita che, chissà, si sarebbe pure potuta risolvere passando la palla a un compagno meglio piazzato. Al punto di voler per forza prestare la concretezza delle sue gambe e dei suoi muscoli a un sogno che invece, purtroppo, era fatto di tutt’altra materia.

Peccato. Anche perché è stato un rientro atteso a lungo, quello di Russotto con la maglia del Catania. Un rientro che a molti è piaciuto, perché Russotto è uno dei nostri giocatori che più ci sanno fare col pallone. Mentre ad altri è dispiaciuto assai, per la ragione che abbiamo già detto. Ed è stato un rientro atteso soprattutto per lui. Perché viene al culmine di una stagione iniziata brillantemente, interrotta a forza per un lungo infortunio, attraversata dall’incubo – poi scacciato – di una assai più lunga squalifica; arricchita da momenti decisivi di vita personale come la nascita di un figlio. Un’attesa dalla quale ci aspettiamo tutti un Russotto finalmente adulto. Un giocatore capace di dare finalmente compiutezza a una carriera fatta spesso, finora, di grandi e piccole incompiute.

La matematica ci racconta che il Catania, oggi, non è più padrone del proprio destino. Non ha più il privilegio di giocare potendosi affidare solo ai propri risultati, senza guardare quelli degli altri. La matematica, si sa, non mente. Eppure non dice nemmeno la verità fino in fondo. Perché, quali che possano essere nelle settimane a venire le alterne vicende del campo, il destino del Catania sta ancora e starà sempre nelle gambe e nella testa dei suoi giocatori. Nella capacità che avranno di scegliere la cosa giusta al momento giusto. Nella risposta che sapranno dare alla domanda se qualche eterno ragazzo sia finalmente diventato adulto. Una risposta che il campo chiederà ancora per quattro volte, e c’è il rischio che debba chiedere ancora nella trafficata coda dei play off. Una risposta che, da oggi in poi, non sarà mai più possibile sbagliare.