Sognando la primavera: il Catania e l’inverno infinito del nostro scontento

Foto: Giampaolo Macorig (Flickr)
Claudio Spagnolo

I cugini di Palermo – che hanno avuto il buon gusto di anticiparci qualche anno fa nel precipitare verso il basso, ma che poi, è duro ammetterlo, se la sono cavata  un po’ meglio di noi a gestire il tracollo – gridavano domenica scorsa, dagli spalti, che vogliono la Primavera. E c’è da capirli, di fronte a una squadra come la loro che non sembra voler far alcuno sforzo per inseguire, perlomeno inseguire, la pur improbabile salvezza; a una squadra, come la loro, che lascia ai suoi tifosi, come unica residua speranza, quella di perdere con l’onore delle armi buttando nella mischia, perlomeno, qualche giovanotto di belle speranze.

Io non saprei dire se le stesse parole possano essere pronunciate a cuor leggero qui a Catania. Dove, salutato ogni proclama di presentarsi ai play-off con qualche speranza di raddrizzare questa stagione, c’è ancora da pensare seriamente a non perdere almeno qualcuna delle partite che ci separano dalla fine della stagione. Prima di essere risucchiati – i numeri non lo escludono – nell’imprevisto e quantomai insidioso pantano della lotta per non retrocedere. Dalla quale – se, Dio non voglia, dovessimo finirci dentro – non so proprio come potrebbe uscire una squadra, come la nostra, bollita nelle gambe e sfarinata nel cervello.

Ma ci vorrebbe anche da noi, a Catania, la Primavera. Intesa non tanto come la squadra dei ragazzi, quella da cui viene ad esempio Di Stefano – l’unico a non aver fatto brutta figura sabato scorso contro il Cosenza – ma proprio come la fine di questo inverno, del lungo inverno del nostro scontento cominciato quattro anni fa e protrattosi, con implacabile e polare ostinazione, fino al giorno d’oggi. A dispetto delle illusorie promesse di sole che a ogni agosto ci vengono regalate, per poi logorarsi ed essere dimenticate nel grigiore di campionati uno più brutto dell’altro.

La meriteremmo, sì, la primavera. Per smettere un giorno di pagare le colpe dell’attuale proprietà, le sue difficoltà economiche, la sua ostinata intenzione di sopravvivere a se stessa lasciando morire la passione di noi tifosi. Per ricominciare ad aspettare la domenica, o il sabato o quel che sarà, con il piacevole pensiero che giocherà la nostra squadra, che noi saremo lì a sostenerla, in qualunque serie giochi. Purché giochi in modo degno di esser chiamata nostra.

Ci vorrebbe tanto, in fondo? Dal nord e dal sud, nelle cronache sportive, non si legge che di trattative, di cessioni, di closing. Solo qui, a quanto pare, è vietato voltar pagina. Per quanto ingiallita, per quanto logora sia quella che abbiamo davanti. Per quanto grigia e triste sia la prospettiva di vederlo durare ancora, un altr’anno o chissà quanto, questo infinito inverno del nostro scontento.