Stadio, gli assenti e i presenti: l’importante è non pensare da juventini

Claudio Spagnolo

È solo una piccola beffa del caso il fatto che, sugli spalti del Massimino, per Catania-Foggia, si sia registrata la contemporanea assenza del patron Antonino Pulvirenti – che per la prima volta, da un paio d’anni, era nuovamente autorizzato a metter piede allo stadio, ma che comunque ha preferito non andarci – e di una fetta più che considerevole del pubblico catanese. Costituita, in parte, dai gruppi organizzati che hanno scelto di andarsene a tifare per l’Amatori. Ma non ridotta solo a questi gruppi: come mostrano i larghissimi vuoti, in curva ed in tribuna, che hanno fatto da cornice alla quarta sconfitta consecutiva dei rossazzurri.

Non stiamo qui a discutere, adesso, delle ragioni di chi allo stadio non è andato e di quelle di chi ha aderito all’invito al tifo lanciato in settimana dalla società. Né stiamo a prender parte al tiro incrociato tra quanti vedono nel sofferto abbandono dei tifosi, addirittura, un altro colpo alle già traballanti aspirazioni del Catania; e quanti invece imputano agli altri – cioè a quelli che allo stadio hanno sempre continuato ad andarci – il trascinarsi di una crisi che dura da quattro anni. Ognuno, al suo Catania, resta libero di voler bene come crede. E, chi vuol farlo, resta anche libero di ricordare che è stato negli anni di presidenza Pulvirenti che il Catania ha toccato il punto più alto della sua parabola, raccogliendo i migliori risultati della sua storia.

Il fatto è, però, che il modo in cui quella parabola è precipitata verso il basso può magari essere perdonato – qualcuno lo ha fatto – ma non può essere nascosto o tanto meno cancellato. E perciò a Catania – in una città capace, in passato, di presentarsi allo stadio in ventimila unità per una sfida di serie C2 – c’è da parecchio tempo, e c’era già prima di quest’ultima protesta, molta gente che allo stadio non andrà più finché questa pagina non sarà stata definitivamente voltata. È un dato di fatto, e non può essere ignorato. Come i lunghi anni di un amore passato non possono cancellare lo sfregio irredimibile di un paio di corna. Che possono essere perdonate in ragione dei ricordi passati (come pare lo siano state quelle messe da Lo Monaco, ai tempi della sua avventura palermitana), ma che risulta più difficile perdonare se sono state accompagnate da maltrattamenti di ogni genere, che hanno prodotto cicatrici incancellabili e che hanno portato a lottare boccheggiando per la sopravvivenza una società, un tempo, additata come modello.

Catania non è, in genere, una città geneticamente votata alla memoria. Altrimenti le leve di alcuni poteri non starebbero, da decenni, sempre nelle stesse mani. Ma riesce talora a esprimere – ed è un peccato che da qualche tempo lo faccia solo per il calcio – l’ostinata vitalità della fenice e l’implacabile memoria dell’elefante. Se così non fosse stato, del Catania non parleremmo più dai tempi in cui Matarrese provò, nel modo che sappiamo, a fare lo sgambetto a Massimino. Anche per questo non ha senso accusare chi abbandona lo stadio di volere il male del Catania. Come non ha senso rivolgere la stessa accusa a quanti – in qualunque modo lo facciano – si rifiutano semplicemente di dimenticare da dove questo male ha origine. O di rassegnarsi al pensiero che tra uno, cinque o dieci anni, il Catania debba ancora essere rappresentato da chi ha clamorosamente tradito la loro fiducia di tifosi e i valori dello sport in cui credono.

Altrove, va bene, ci sarà pure gente che riabilita i suoi Moggi solo per non rinunciare alla pretesa di riattaccarsi sulla maglia scudetti vinti per virtù degli arbitri. A noi basterebbe molto meno: ci basterebbe veder misurate, con lo stesso metro usato per il Catania, le colpe di tutti coloro che hanno viaggiato sui Treni del gol. Ma questa sensata richiesta non può confondersi con la pretesa– completamente diversa, del tutto sballata e filosoficamente juventina– che l’intera tifoseria si addossi colpe che non ha. E che in virtù di questa supposta corresponsabilità dimentichi, per giunta, le colpe di chi le ha sottratto il vanto dell’integrità di una bellissima storia di sport, ben più lunga e gloriosa di otto anni trascorsi in serie A. Facendoci all’improvviso additare da tutti come truffatori del calcio. Condannando tutti noi, noi che tifiamo per il Catania, a subire il trattamento che in genere si riserva a degli juventini qualunque.