Sudditanza psicologica: quella volta che la “Juve” se la prese col Catania

Claudio Spagnolo

Se c’è una cosa che sogno di vedere, prima di diventar troppo vecchio, è il mio Catania che batte la Juve. E mica per merito suo, che sarebbe troppo semplice, bensì proprio rubandole spudoratamente la partita, in doverosa osservanza della legge dantesca detta contrappasso. Mi piacerebbe anzi battere la Juve con un bel gol irregolare, convalidato dall’arbitro tra le inutili e veementi proteste della panchina bianconera. Se mai venisse quel giorno, e se mi trovassi davanti qualche juventino che si lagna dello scippo patito, credo che mi sentirei perfino felice di stare, per una volta nella vita, dalla parte dei ladri. Contento come immagino fosse Robin Hood quando restituiva ai poveri i beni di cui i ricchi sfacciatamente godevano.

E se poi insistesse, questo non troppo immaginario amico juventino, sul fatto che alla sua squadra la partita è stata effettivamente rubata, potrei solo rispondergli che la vita, alla fine, quel che ti toglie ti ridà. E riterrei finalmente saldato quel credito che vanto con il dio del calcio: dal giorno in cui quest’ultimo permise a un guardalinee prono al potere di annullare, su richiesta della panchina bianconera, il gol di Bergessio con cui il Catania meritava di battere – e moralmente batté – la potente e raccomandatissima armata bianconera.

Naturalmente questo giorno non verrà mai. E la mia vecchiaia, lo so già, sarà rattristata da questa nemesi incompiuta. Mi gioverà poco, allora, ricordare che almeno una volta la Juve – purtroppo, però, solo quella di Castellammare di Stabia – si è lasciata andare a esternazioni indignate proprio a causa di una sconfitta subita per mano del Catania. E ciò benché questa sconfitta sia stata frutto di un gol magari casuale, ma assolutamente regolare. Il che non ha impedito al tecnico di questa Juve – un signore un po’ rosicone che di cognome fa Ferrara, pur non somigliando purtroppo al Ciro di bianconera memoria – di accusare l’arbitro, nientemeno, di sudditanza psicologica nei confronti del Catania.

Un teorema un po’ strambo, quello del Ferrara di Castellammare. Che sorvola su un rigore reclamato dal Catania, a torto o a ragione, e che l’arbitro suddito stranamente non ha concesso. Che non sembra neanche sostenere, in verità, che il gol di Mazzarani non fosse regolare. Che potrebbe lamentarsi, al massimo, perché avrebbe voluto un minuto di recupero in più. E che tra le prove della sudditanza, tra l’altro, sembra annoverare l’espulsione di un suo giocatore – Morero – avvenuta dopo il triplice fischio. Senza peraltro spiegare cosa mai potessero farsene, i giocatori del Catania, del cartellino rosso sbandierato a un avversario mentre loro stavano già a festeggiare il successo.

Forse me la sarei goduta di più, la vittoria rossazzurra di sabato, se a commentarla fosse stato l’altro tecnico della Juve locale. Una nostra vecchia conoscenza di nome Fabio Caserta. Il quale, quand’era giocatore, fu protagonista della promozione del Catania di Marino dalla B alla A, e poi della prima salvezza rossazzurra. Ma in seguito incarnò il prototipo del calciatore che vorrebbe prendere il volo senza avere le ali. Caserta, si sa, si tolse la maglietta con l’elefante per vestirsi da aquilotto rosanero, illudendosi di trovare alla corte di Zamparini quella fortuna che sotto l’Etna non credeva possibile. E però restò a terra, come in seguito sarebbe successo anche ad altri (vedi Zenga, per dire). Così Caserta, alla storia del Palermo, c’è in effetti passato. Ma solo per aver mandato fuori un rigore che costò ai rosanero l’eliminazione dalla Uefa, o per essersi fatto espellere quando tornò a Catania, in un derby ovviamente vinto da noi, in maglia rosanero. Da allora, della sua carriera di calciatore, non si è saputo più granché. Fino a quando, appunto, non l’abbiamo ritrovato, un po’ invecchiato, a condividere con Ferrara la panchina stabiese.

Ma alla fine che ce ne importa, di Caserta, della Juve Stabia e perfino di quell’altra Juve? C’importa che il Catania abbia vinto, che il Lecce non abbia allungato il passo sfruttando il turno interno contro la Reggina. C’importa ancor di più che abbia vinto in trasferta, il Catania, per la quinta volta in questa stagione: eguagliando, alla quattordicesima partita di questo campionato, il numero di vittorie esterne totalizzate nelle due precedenti annate di serie C.

Se sia questa la stagione delle rivincite, ancora non lo sappiamo. Ma è una stagione in cui il Catania in campo ci va sempre pensando che vincere è possibile. E sapendo che, anche quando magari non pare giornata, il possibile può divenire reale solo se tu non aspetti che cada dal cielo, ma se lo artigli appena ti si presenta l’occasione. Come ha fatto Mazzarani con quel tiro forte e avvelenato diretto, a tempo scaduto, verso l’opposto angolo della porta. Come ha fatto Lodi aprendo le gambe e nascondendo, per un attimo, la palla al portiere. Solo per un attimo, che però è bastato a regalarci il sapore di un sabato migliore.