Treni del gol, difesa Catania e patron: «Pulvirenti “pupazzo”. Non punibile»

Marco Di Mauro

Pulvirenti non sarebbe stato al vertice dell’organizzazione, ma solo «un pupazzo». Lo sostiene il suo difensore. Al tribunale di Catania si tiene l’ennesima udienza preliminare del processo Treni del gol. Discusse stamattina la posizione del patron del Calcio Catania e quella del club rosssazzuro. Alle richieste di rinvio a giudizio, avanzate dal pubblico ministero Alessandro Sorrentino, le difese replicano chiedendo il non luogo a procedere, motivandolo con l’assenza dei presupposti necessari.

«Pulvirenti non è punibile», esclama a gran voce Giovanni Grasso. Il legale del patron del Catania smentisce anzitutto che il suo assistito abbia ammesso il tentativo di combinare le sei partite oggetto dell’inchiesta: «Ha solo cercato degli accordi, ciò non è reato». Alle prove dell’accusa, che mostrano come oltre agli accordi ci siano stati dei passaggi di denaro, ribatte: «Ha pagato sotto minaccia di Delli Carri e solo alla fine si è accorto di essere stato raggirato».

In almeno due delle partite contestate «non c’è stata alcuna combine», riprende Grasso. A provarlo, nell’interpretazione data dalla difesa alle intercettazioni, è la reazione di Fernando Arbotti – l’intermediario coi calciatori coinvolti, per il pm – al mancato pagamento per le combine non andate secondo i piani: Latina-Catania e Catania-Ternana. «Se Arbotti avesse davvero avvicinato dei giocatori – aggiunge il legale – non venendo pagato avrebbe dovuto fare l’inferno».

Nella prima delle due gare, in particolare, Pulvirenti non sarebbe stato informato di un errore di Arbotti nel comunicare a Di Luzio l’identità del giocatore corrotto – quello indicato sarebbe rimasto in panchina, ndr. – A ciò, nonostante la vittoria del Catania, è seguita la scelta di Delli Carri e Di Luzio di non pagare l’intermediario e spartirsi il denaro messo a disposizione, dando a Pulvirenti l’idea che tutto fosse andato come previsto.

Pulvirenti non sarebbe quindi il truffatore ma il truffato. «Inconsistente», per la difesa, è pure l’accusa di associazione a delinquere. «Ogni soggetto ha operato per il proprio tornaconto e non per un interesse comune». Quello di Pulvirenti, sostiene Grasso, sarebbe stato «l’amore per il Catania, che l’ha portato a sbagliare». In quel momento della stagione 2014/15, la squadra aveva necessità di punti per evitare il rischio retrocessione in Lega Pro.

Sul comportamento dell’allora presidente del Catania si basa pure la difesa del club, accusato di avere tratto beneficio dalle presunte combine. «Pulvirenti non aveva potere decisionale né di controllo nei momenti successivi alle partite incriminate – sostiene l’avvocata Erika Giardino – Inoltre aveva deciso di cacciare Delli Carri, individuato come l’organizzatore». Questo dimostrerebbe, nella versione della legale, l’intenzione del patron di non proseguire nel piano criminoso.

Della faccenda si tornerà a discutere la prossima settimana. Entro luglio è intenzione della giudice Francesca Carcione decidere sulle richieste di rinvio a giudizio.