«Catania, pentito d’esser partito». Paolucci: «Al Massimino ho pianto»

Foto: calciocatania.it
Marco Di Mauro

Il tanto atteso ritorno a Catania e poi, a gennaio, un addio sofferto che ancora rimpiange. «Ho sbagliato a farmi convincere ad andare via da don Pietro». Michele Paolucci, centravanti di professione e tifoso rossazzurro per passione, si racconta a MondoCatania. Un’intervista nella quale l’ex numero 9 parla anche del suo rapporto con la città di Catania e col direttore generale don Pietro Lo Monaco. E parla anche del rapporto con alcuni dei suoi ex compagni, che è anche andato a trovare a Castellammare alla vigilia della sfida che ha poi sancito l’eliminazione dai play off dei rossazzurri.

La presenza di Paolucci al Menti di Castellammare ha sorpreso tanti, a Catania. Com’è nata la scelta di seguire la squadra nonostante il rapporto col club fosse terminato?
«Io tifo Catania. Il Catania è la squadra, per me. Anche se molti, quando mi chiedo per quale squadra tifo, si sorprendo quando do loro questa risposta. Perciò ho sentito la voglia e il desiderio di andare a vedere il Catania contro la Juve Stabia, in una gara che si sapeva sarebbe stata decisiva.  Una ulteriore ragione è data dal fatto che in rossazzurro giocano alcuni ragazzi con i quali ho stretto, nel tempo, alcuni dei rapporti tra i più profondi che ho nel mondo del calcio. Mi sono incontrato con alcuni dei vecchietti, che non erano convocati, prima della partita».

Quella partita ha sancito l’eliminazione dai play off e la fine delle speranze della squadra di raddrizzare una stagione nata con l’ambizione di essere protagonista almeno ai playoff. Cosa non ha funzionato in quei 90′?
«Il Catania non si era presentato in quella partita nelle condizioni migliori. Bergamelli, Di Cecco e Biagianti non c’erano, e questo ha significato perdere molto dal punto di vista della personalità. Inoltre la squadra non mi pare sia arrivata al massimo a quell’appuntamento».

Più in generale, nel corso dell’intero campionato al Catania è sempre mancato il guizzo giusto, al momento giusto, per far quel salto in avanti che avrebbe dimostrato la crescita necessaria per essere all’altezza delle attese.
«Fino a gennaio avevamo fatto un buon lavoro, che forse è stato sottovalutato. Eravamo una squadra in crescita, un gruppo nuovo, partito con sette punti di penalità. Avevamo un gioco pragmatico, poco spettacolare ma efficace. Potevamo crescere ancora. La società però ha voluto cambiare, con l’obiettivo di far meglio. In tal senso la risposta più eloquente la danno i punti conquistati nel girone d’andata rispetto a quelli conquistati nel girone di ritorno. Dimostrazione di come Rigoli abbia fatto meglio di qualunque altro suo successore».

Tanti gol durante il precampionato, un inizio stagione confortante, poi il calo e l’addio. E quella linguaccia, usata per festeggiare i suoi gol, che è quasi del tutto sparita. Cosa è successo a Paolucci?
«Il mio inizio è stato sprint. Ho avuto un calo, ma credo sia fisiologico. Guardando la mia prima parte di stagione, con tre gol in campionato e due in coppa, forse servivano due o tre reti in più per far parlare di rendimento positivo ma il dato era compensato dal fatto che la squadra non stava andando male. Poi sono state fatte delle scelte. Reputo la mia stagione insufficiente, ma nel complesso sono stato il centravanti che ha segnato di più, sia nella parte di stagione vissuta al Catania che dopo. E comunque sono arrivato in doppia cifra».

A gennaio, in un primo momento, sembrava che tutte le offerte fossero state rispedite al mittente. Poi la lettera d’addio. Com’è maturata la scelta di andare via dal Catania?
«Don Pietro aveva fatto scelte diverse. Probabilmente anche in maniera un po’ inconsapevole, mi ero convinto anche io che, come diceva lui, andare via potesse essere un bene comune. Nonostante fossi altrettanto convinto che, se fossi rimasto, avrei giocato sempre io. È arrivata la possibilità di andare via e forse ho sbagliato io ad ascoltare la società. Io sono parzialmente pentito della scelta fatta, chissà se lo è stato anche Don Pietro. Lui ha sempre saputo che su di me poteva contare in ogni momento e lo saprà sempre».

È singolare notare quanto sembri profondo il legame con Catania e col Catania, nonostante la carriera l’abbia visto in rossazzurro solo per un breve periodo. 
«Il legame tra me e Catania non finirà mai. È qualcosa che ho dentro, che nel tempo mi è rimasta. È una questione di appartenenza. Poi, segno del destino, la mia fidanzata e futura moglie è di Catania. Questo non ha fatto altro che amplificare il legame con questa terra. Però, non saprei dire cosa ha generato questi sentimenti. È così, è un dato di fatto di cui prendo atto da me stesso».

La dirigenza del Catania si sta già muovendo per allestire la squadra che affronterà il prossimo campionato. Riuscirà a essere all’altezza dell’obiettivo primato?
«Non vedo l’ora di scoprire il nuovo Catania. Quest’anno i ragazzi non avranno l’handicap della penalizzazione, che è una cosa importantissima. Il campionato è lungo e dopo la scorsa stagione, don Pietro avrà fatto tesoro di alcuni insegnamenti e saprà individuare quali calciatori prendere anche a livello caratteriale. Perché giocare a calcio è una cosa, giocare a Catania è un’altra. Lucarelli è persona molto carismatica, e penso sia lo stesso anche come allenatore. A Messina ha sempre trasferito una carica emotiva importante ai suoi calciatori. Se lui e don Pietro riusciranno a comprendersi, e non ho dubbi su questo, sarà allestita una squadra importante che farà un campionato di vertice. Credo che cambierà parecchio anche quest’anno, e alcuni giocatori importanti andranno via».

Nei giorni scorsi si è parlato di un interessamento della Sicula Leonzio, che fra l’altro ha scelto di affidare la panchina a Pino Rigoli. Il futuro di Paolucci, che ha concluso la turbolenta esperienza con l’Ancora, qual è?
«Il mio futuro adesso è un po’ di vacanza. Gli ultimi mesi sono stati pesanti, anche se per carattere sono uno che le cose lascia che gli scorrano addosso. Girerò un pochino, sempre allenandomi, e per i primi di luglio verrò a fare una capatina in Sicilia per un po’ di mare catanese. Ne ho proprio di bisogno. Poi vedremo. Sono molto sereno, questa stagione una volta di più mi ha dimostrato che fisicamente sto bene. In un campionato logorante come la Lega Pro ho giocato più di trenta partite. Ho voglia di ricominciare con un club organizzato e serio. Qualità delle quali ho proprio di bisogno».

E se dovesse incontrare il Catania da avversario?
«Di solito quando incontro il Catania da avversario faccio gol. Sicuramente incontrarsi da avversario sarebbe un’emozione incredibile, come lo è stato tutti le volte. Uno dei ricordi più belli fu quando, giocando col Siena al Massimino, in coppa Italia – io ero capitano del Siena – al momento della sostituzione l’intero stadio si alzò e mi dedicò una standing ovation. È stata prima volta nel calcio in cui ho pianto. Questo per far capire quanto per me sarebbe speciale. Perciò alla prospettiva di incontrare il Catania da avversario… non ci voglio pensare».