Catania, perché il progetto serie B è ancora possibile ma non pare credibile

Marco Di Mauro

Le possibilità che il Catania riesca a centrare la serie B sono intatte. Sia attraverso i play off o addirittura per via diretta, se il Lecce perdesse tutte le gare che restano e il Trapani incespicasse. Ma come pare evidente, ancor più per la seconda ipotesi, se tutto è possibile non tutto è credibile. Proprio la differenza tra queste due parole, possibile e credibile, racconta il momento del Catania e della tifoseria rossazzurra. Un momento che dura anni.

Il punto è abbastanza chiaro. Per quanto fatto vedere dalla sua discesa in B fino a oggi – in campo, in panchina e in società -, è un fatto che il Catania non sia risultato coerente con gli obiettivi intermedi e finali che si è posto. Un calendario di tappe che, questo maggio, doveva vederlo esultante per la promozione in B. Fissato che la coerenza, a tutti i livelli, sia il fondamento della credibilità, anche questa stagione il progetto di centrare la serie B risulta poco o per nulla credibile a un numero sempre maggiore di tifosi e osservatori. Per quanto, tuttavia, la matematica e l’imprevedibilità della fortuna lo mantengano ancora oggi del tutto possibile. Ciò nonostante la squadra abbia sprecato ogni occasione per spodestare il Lecce, compresa l’ultima. E nonostante il Catania probabilmente disputerà i play off come il Trapani, che ha già certificato di essere più competitivo dei rossazzurri. Battendoli, con merito, sia all’andata che al ritorno.

Fatta questa premessa, nelle righe che seguono vengono analizzate alcune delle incoerenze più evidenti mostrate da giocatori, allenatore e dirigenza rispetto al progetto di raggiungere in modo diretto o (adesso, nuovamente) in modo indiretto la serie B.

I giocatori
Dei cali di prestazione sono inevitabili durante un campionato. Il fatto però che siano coincisi con gli appuntamenti più delicati e cruciali del percorso “promozione diretta”, lascia intendere che la spiegazione di questi cali non sia riferibile al lavoro settimanale, quanto invece all’approccio alle partite importanti e al pieno coinvolgimento nella causa comune. A parole, tutti e sempre determinati a conquistare la B, onorare i tifosi e quant’altro. Nei fatti – al netto di alcune partite visibilmente condizionate dalle scelte dell’allenatore, o dagli errori arbitrali – impegno e agonismo non si sono visti con la continuità necessaria per risultare coerenti con i proclami. Quella indispensabile per rendere credibile l’obiettivo di una squadra che lotta per il primato, evitando i rimpianti ed i patetici “sì però, se…”. Un 5-0 come quello di Monopoli, da alcuni definito addirittura “utile” per il prosieguo della stagione, resterà ad esempio nella storia del Catania come una delle pagine più vergognose mai scritte. Finissero qui, le incoerenze, almeno il progetto play-off resterebbe credibile. Ma una squadra alla quale – nonostante detenga record di qua e di là – tremano le gambe di fronte a uno stadio pieno (come sarà ai play off), non risulta credibile per qualsivoglia progetto promozione (diretta o meno), e neppure all’altezza di una piazza come Catania. E in questo la colpa più grande se la dovrebbe prendere chi ha creduto e ha fatto credere a certi giocatori che essere forti bastasse per essere adatti a giocare nel Catania. Chi si aspettava che questi giocatori fossero pronti, si è sbagliato. Se ci si aspettava che lo sarebbero diventati, hanno sbagliato in tre: i giocatori, chi li ha portati e chi li ha allenati. Diventeranno all’altezza di uno stadio pieno e di Catania in tempo per i play-off? Possibile, ma quanto credibile?

L’allenatore
Prima dell’inizio del campionato, Lucarelli sostiene che uno degli obiettivi della squadra sia far tornare il grande pubblico al Massimino. Tanto da chiedere un confronto coi tifosi per capire le ragioni della loro distanza. Nelle partite contro Juve Stabia e Trapani, davanti alla cornice di pubblico del Massimino commenta dicendo che da calciatore avrebbe di sicuro fatto uno o due gol per la sola voglia di veder quel pubblico esultare. Alla fine della partita persa contro i granata, invece, usa delle parole che lasciano intendere come la presenza di tanti spettatori sia stata un freno per il Catania. Parole tanto stupefacenti quanto incoerenti. Almeno quanto l’invettiva rivolta, sempre ai tifosi, qualche gara prima: invitati ad andare a giocare al Bingo invece che allo stadio (poi seguita da un chiarimento). Tutto per qualche fischio e insulto ricevuti al termine (e non prima) di un’ennesima prestazione casalinga deludente. Eppure lui stesso, nella conferenza di presentazione, aveva detto di conoscere bene le pressioni della piazza catanese. Per di più, che fossero stati proprio “casini e rischi” a stuzzicare la sua fame di sfide e a spingerlo ad accettare l’incarico. L’elenco delle incoerenze che fanno apparire Lucarelli poco credibile come condottiero d’una squadra da primato è lungo. E non stanno solo nel suo albo d’oro e nella sua limitata esperienza, rispetto ai colleghi più esperti che siedono sulle panchine di C: La tabella di marcia per la B, da lui affissa dentro lo spogliatoio a mo’ di obiettivo ma “strappata” prima della metà della stagione. Le mancate dimissioni, anche solo come atto dovuto, dopo il 5-0 contro il Monopoli (come quelle di Marino, seppur mai ufficializzate, dopo lo 0-7 a Roma). Per finire con l’atteggiamento difensivo scelto per una partita come quella contro il Trapani, che sapeva e aveva dichiarato di dovere e volere vincere “senza se e senza ma”. La stessa per la quale aveva dichiarato, anche, di aver grande fiducia in Marchese e negli altri senatori. Tanto che Marchese è stato tra i peggiori e il primo a uscir fuori, seguito dagli altri senatori Mazzarani e Biagianti. Un segnale di fiducia mal riposta, scelte sbagliate e incapacità di motivare a dovere giocatori ben abituati a destreggiarsi davanti al grande pubblico. Tutte caratteristiche che paiono indispensabili per un allenatore scelto per puntare al primato o alla promozione, non solo al record di vittorie in trasferta (per il quale gli va detto bravo). E al quale, per risultare credibile, non basta essere capace di tirar fuori dai suoi giocatori  il 90% del potenziale. Deve tirar fuori il 110%, e dimostrare così di essere lui stesso capace di far la differenza, prima di chiedere ai suoi giocatori di farla in campo. Cosa di cui finora non è stato capace, ma che non chiude alla possibilità che lo diventi in futuro. Certo.

Il direttore
Pietro Lo Monaco ha tanta voglia di vedere il Catania in B che, dal suo ritorno a Catania, pare raccontare i suoi sogni invece della realtà. A luglio ha presentato il Catania come una squadra da primato, con giocatori da far invidia alla B. Eppure la squadra ha raggiunto e detenuto il primo posto solo per una giornata, finendo anche a -7 punti dal Lecce. Dopo la disfatta di Monopoli ha ridimensionato le aspettative puntando a mantenere il secondo posto. Visti gli scivoloni del Lecce è tornano a spronare tutti a credere nuovamente, fino in fondo, alla promozione diretta. Infine – incassato il KO col Trapani, che ha portato il Catania in terza posizione – ha indicato i play off come via per la serie B. Spareggi in cui il Catania si spera sia “protagonista” davvero, come la stagione passata aveva garantito lo stesso Lo Monaco. In cui però il Catania protagonista non è stato, se non di un’ennesima brutta figura. Ma le piccole e grandi incoerenze, che rendono poco credibile l’intero progetto B, non finiscono qui. Riportano invece a gennaio, quando il Catania – pur attardato rispetto alla vetta – non è intervenuto per irrobustire la squadra. Cosa che le avversarie dirette hanno fatto.  Una scelta parsa ancor meno coerente a seguito di un altro fatto. Lo Monaco prima si è inalberato quando Lucarelli ha giustificato i risultati migliori del Lecce col budget più importante investito dai giallorossi. Dopo il KO col Trapani, ha usato proprio lui la parola budget per spiegare il perché il Lecce, a differenza del Catania, s’avviasse direttamente in B. Terzo aspetto, ma non di minor importanza: ogni volta che definisce una partita come “la partita della vita”, “il crocevia”, “la madre di tutte le partite”, i suoi giocatori – quelli che lui ha scelto, difeso e che la società paga – offrono prestazioni che coprono di ridicolo le sue parole e pure quelle di chi sostiene che basti la voce di “Petrus”, il suo “farsi sentire nello spogliatoio” perché la squadra sfoderi chissà quale prestazione. Un tempo era così, adesso non pare esserlo più, stando ai risultati. Se tornerà a essere così in tempo per i play off ce ne accorgeremo, come adesso ci si accorge del contrario. E del fatto che il solo suo ritorno, a differenza di quanto creduto e sperato da tanti, non basti per risalire lampo-stampo in B.

Per tutti questi motivi il progetto del Catania resta possibile ma non pare credibile. Cosa cambia questo per il finale di stagione? Niente. Squadra, allenatore e dirigenti non cambieranno, nella peggiore ma più opportuna delle ipotesi. Nella migliore delle ipotesi, riusciranno a migliorare e rendere credibile ciò che per adesso resta solo possibile. E i tifosi? Cambia poco anche per loro. D’altronde, il tifo, almeno quello di chi allo stadio va a prescindere dai risultati, è fondato solo e soltanto sulla fede. Ed è bene e importante che sia così. A prescindere dalla credibilità che viene riconosciuta a chi indossa quella maglia e a chi la rappresenta in società. Perché solo così il Catania ha avuto e avrà sempre un sostegno forte, da parte della sua gente. Ovunque vada. Sempre che le trasferte non siano vietate e sempre che questo apporto non risulti sgradito o d’impedimento per qualche “Ronaldo” mancato o qualche “Ferguson” in maschera. Quindi, non resta che continuare a tifare e tirare a campare. Che magari questa stagione, con un po’ di fortuna, si va in B. In attesa che il “Catania ritorni davvero“, credibile.