Comune vs Catania su note della Cinquetti: stop liti, serve intesa che tuteli tifosi

Marco Di Mauro

Da una parte le ragioni del Catania, che non vuole firmare un documento d’assunzione di responsabilità ritenendolo vessatorio. Dall’altra parte, le regole d’uso uguali per tutti gli impianti pubblici, accettate da tutte le società sportive, rispetto alle quali il Comune non ammette eccezioni per il Catania Calcio. In mezzo ci sta il cancello dello stadio Angelo Massimino che ha rischiato di non aprirsi per la partita contro la Fidelis Andria e che potrebbe restare chiuso per quella di giorno 3 ottobre contro il Monopoli. A guardare preoccupati la contesa ci sono i tifosi del Catania, che sembrano più interessati dei due litiganti a che si trovi una rapida soluzione all’inghippo.

La scena che si stava proponendo sabato scorso, e che potrebbe riproporsi per la sfida contro il Monopoli, ha del teatrale. Chiuso dentro lo stadio, il Comune, le sue regole e i suoi ligi dipendenti. Chiusi fuori dallo stadio il Catania, le sue ragioni e i suoi 11mila tifosi tra abbonati e bigliettati. Chi dentro, chi fuori, ma comunque chiusi sulle rispettive posizioni e separati da un cancello alto quanto due facciate di foglio A4. Quello che il Comune pretende che il club sottoscriva per avere accesso allo stadio. Ma che il Catania non vuole sottoscrivere, definendolo vessatorio e ritenendo che le firme sui bonifici versati al Comune per l’affitto dell’impianto debbano bastare perché chi sta a Palazzo degli Elefanti gli conceda il diritto di entrare allo stadio, che invece gli viene contestato.

Per evitare altre piazzate come quella andata in onda sabato al Massimino, che non varrà certo medaglie per nessuno, trovare un accordo è necessario. Ma non pare cosa semplice quando i litiganti, pur mettendo da canto con un po’ di gnegno i litigi passati, partono comunque da idee di fondo così diverse da non apparire conciliabili a meno che qualcuno non faccia un passo indietro o un gioco di prestigio. Il Calcio Catania si ritiene proprietario di fatto del Massimino. Il perché lo ha spiegato Lo Monaco: È la sola squadra di calcio a giocare in quello stadio, si occupa per tutto l’anno del manto erboso, della pulizia e di tanti altri oneri per giocare massimo due o tre partite al mese. In occasione delle quali, tra l’altro, deve anche pagare un pur simbolico canone di affitto al Comune oltre a versargli una percentuale sui guadagni della pubblicità.

Il Comune di Catania ribatte che, per legge seppur per conto dei cittadini, è lui il proprietario del Massimino. Come scritto sul cancello dello stadio. Che perciò, come ogni padrone di casa, le regole agli affittuari è lui a dettarle e non il contrario. E se gli affittuari non le rispettano, non importa che paghino o meno, restano fuori dalla porta. Precisa inoltre che il Massimino non è solo un campo di calcio, ma anche la casa di tante altre società sportive che, per usufruire dei locali, hanno firmato la stessa carta che il Catania non pare avere intenzione di firmare. Un foglio in cui accettano di pagare eventuali danni causati mentre svolgono la loro attività. Il principio giuridico sarebbe lo stesso per cui non c’è scolaretto che sia partito in gita senza aver portato, oltre ai soldi, anche l’autorizzazione scritta con cui i genitori si assumono la responsabilità di tutto ciò che di catastrofico potrebbe combinare o succedergli.

È chiaro che la situazione è ben più complessa, ma comunque non è meno definita di quella raccontata tanto nell’esempio dell’affittuario che in quello dello scolaretto. Firmare è una regola e senza firma non si gioca. Nei momenti in cui i litiganti non si urlano addosso pare sentirsi l’eco distorto di un motivetto anni ’70 di cui molti ricordano solo un pezzo del ritornello. Quello che fa: “E qui comando io, e questa è casa mia…“.

L’una e l’altra parte tirano la ragione dal loro lato a suon di dichiarazioni. Pretendere di avere ragione, in casi come questo, potrebbe però essere il modo per finire con l’avere torto entrambi. Il Comune sa che il Catania è una potenziale risorsa economica per la città (qualora dovesse tornare in A) oltre a essere soprattutto un grande affetto per i suoi cittadini. Non può trattarlo come un semplice affittuario. Il Catania, nella sua comprensibile intenzione di non perdere altro tempo e denaro nel cammino per risalire di categoria, sa dell’esistenza di certe regole, che giuste o meno sono valide per tutti e che tutti devono rispettare. E sa di non essere, purtroppo, nello stadio di proprietà che aveva sognato e progettato. Non può comportarsi, com’è abituato, da padrone di casa.

Non è chiaro quali siano le clausole vessatorie alle quali il Catania si riferisce, Lo Monaco non ha voluto rispondere a domanda specifica. Non è chiaro come mai il problema non si sia verificato nelle precedenti gare, stante che l’autorizzazione va firmata volta per volta. E nemmeno perché, se nulla è cambiato, certi rimproveri reciproci sui costi e sulla convenzione mancante vengano mossi solo adesso. Quando invece, fino a qualche mese fa la squadra veniva presentata in Comune tra applausi e vicendevoli salamelecchi. La sola cosa chiara è che la situazione va risolta alla svelta, in modo che Catania-Monopoli si giochi al Massimino come previsto, il 3 ottobre. E così che l’unica ragione per cui i tifosi debbano incazzarsi sia il giorno in cui la Lega ha fissato la gara, martedì alle 20.30.

Al Comune serve una firma del Catania. Ma la questione per cui si è alzato il polverone sta tutta qui? Il Catania sostiene che l’unica soluzione al cancello contro cancello sia firmare una nuova convenzione d’utilizzo, che stabilisca nuove regole nella gestione dello stadio inglobando responsabilità, diritti, guadagni e costi. Una carta valida per più anni, che superi quelle a scadenza giornaliera e che è da tempo in gestazione tra Torre del Grifo e uffici comunali. Il parto era atteso prima dell’inizio della nuova stagione, ma così non è stato. Dopo mesi di tentativi, basterà una settimana per superare gli ostacoli e firmare una nuova convenzione? O ne sarà firmata una temporanea? O verranno cambiate le regole imposte dell’autorizzazione tanto contestata?

Il dialogo pare aperto su tutti i fronti. Comprensibile ma poco onorevole sarebbe però usare l’impellenza della partita come strumento con cui far pressione sull’altra parte. Così come orientare l’accordo in ragione del consenso elettore dei tifosi. Che una volta ancora si trovano a occuparsi di moleste questioni extracalcistiche che non dovrebbero interrompere il gioioso parlare di una squadra finalmente in grado di regalare loro soddisfazioni. Forse la testimonianza più evidente che certe questioni andrebbero risolte prima e privatamente, da chi deve tutelare gli interessi dei tifosi e da chi cura quelli dei cittadini, senza dover molestare gli uni e gli altri con canzonette stonate.

E speriamo che ciò avvenga, in tempo.