Il Daspo che punisce chi chiede una maglia. Non chi aggredisce i giocatori

Fonte: MondoCatania - I fatti accaduti a Siracusa
Giuseppe Rapisarda

Da un lato il sacrosanto dovere di tutelare la non violenza, far rispettare la giustizia, isolare e correggere i violenti.  Dall’altro, delle incongruenze che fanno riflettere. Il 10 dicembre del 2016, nel pre-partita di Siracusa-Catania, alcuni ultras aretusei, entrati sul terreno di gioco, si spingono fino a centrocampo e aggrediscono verbalmente i giocatori del Calcio Catania. Circa un anno dopo, l’1 dicembre 2017, alcuni ultras del Catania, al termine di Trapani-Catania, sarebbero entrati in campo con l’obiettivo – secondo quanto riportato dalle agenzie di stampa – di chiedere le maglie ai calciatori rossazzurri. Sono stati daspati in cinque. Nessun provvedimento, invece, risulta mai essere stato adottato a carico degli ultras aretusei per i fatti accaduti al De Simone due anni fa.

Sulla questione, interviene l’avvocato Giuseppe Rapisarda.

Il Daspo, acronimo di divieto di assistere alle manifestazioni sportive. È una misura prevista dalla legge italiana al fine di contrastare il fenomeno della violenza negli stadi, nei palazzetti che ospitano qualunque disciplina sportiva. Ultimamente si assiste ad un inasprimento del Daspo per condotte obiettivamente poco pericolose. “L’invasione di campo” in via festosa o per raccogliere le maglie dei beniamini, non può di certo integrare una condotta pericolosa descritta dall’art 6bis introdotto dalla legge 377/2001.

Il fatto che il Daspo sia emesso sulla base di una segnalazione e non, come ormai usualmente accade, di un giudizio penale vero e proprio (ove l’accertamento dei fatti sconta il doveroso esercizio alla difesa dell’indagato),comporta sospetti di costituzionalità. Sospetti per adesso allontanati dalla Corte costituzionale che nel 2012, sent.n.512, ha inquadrato il Daspo tra le misure di prevenzione idonee ad essere inflitte indipendentemente dalla commissione di un reato. Ma i dubbi sulla costituzionalità, anche a mente dell’ art 16 della costituzione – sulla libera circolazione dei cittadini, libertà appunto elevata a rango costituzionale – permangono non solo nel mondo ultras ma anche tra gli operatori del diritto.

Il legislatore non ha tenuto conto che le questure emettono il Daspo senza dare in alcun modo agli interessati la possibilità di dire alcunché, nel procedimento amministrativo. Sicché, ad esempio, non si capisce come l’interessato possa far conoscere la propria attività lavorativa, rilevante in modo espresso per la modalità di irrogazione della misura. Non si capisce altresì quale effettivo termine sia concesso all’interessato per produrre memorie a difesa al giudice per le indagini preliminari, al quale cui è demandato il compito di convalidare il Daspo emesso dalla questura.

Il gip può convalidare entro 48ore successive a quelle riservate al pm per valutare la fondatezza dei presupposti. Questo comporta che si possa procedere alla convalida impiegando anche un solo minuto, precludendo di fatto all’interessato la facoltà di difendersi, che pure gli è concessa. La compromissione grave del diritto di difesa è nota a tutti gli operatori del diritto. Lo stesso iter della convalida davanti al gip del daspo non appare, per lo meno nella prassi, agevolare il diritto alla difesa per l’interessato.

La materia rimane controversa, perché gli orientamenti delle questure e quelli giurisprudenziali variano a seconda delle realtà territoriali. Discrezionalità che imporrebbe una revisione immediata della disciplina che, nella prassi, ha finito col sembrare sempre più una misura meramente di polizia, molto lontana dall’esigenza di tutela del cittadino indagato e, soprattutto, in contrasto col principio costituzionale di non colpevolezza. Un’architrave del diritto del cittadino a procedimenti, anche in via sommaria o preventiva ove sia assicurato il costituzionale ed intangibile diritto alla difesa per tramite di un avvocato.