La risposta ai mali del Catania? Semplice: basta raddoppiare l’allenatore

Claudio Spagnolo

Forse ci sarebbe, per i problemi del Catania, una soluzione semplicissima, ma alla quale nessuno ha pensato. Anziché obbligare il buon Lucarelli a far fronte alle mille incombenze di cui è fatta la sua vita di allenatore – comprensive non solo dell’obbligo di vincere in casa e in trasferta, ma anche di quello di rilasciare interviste, prendersi le male parole delle tribune, incassare i rimbrotti di Lo Monaco – basterebbe dividere questo stesso carico tra due allenatori. Uno dei quali potrebbe benissimo essere lo stesso Lucarelli. Mentre per l’altro, se quest’anno non fosse già impegnato (da esonerato) a pochi chilometri da qui, mi sarei azzardato a proporre perfino uno come Rigoli.

Pensateci, un Catania con due allenatori. Uno per le partite in casa, che tra i due sarebbe ovviamente Rigoli. E uno per le trasferte, che resterebbe Lucarelli. L’aritmetica è palesemente a favore di questa soluzione. Lo scorso anno, nelle gare interne, Rigoli ottenne 32 punti sui 39 disponibili nelle partite giocate prima dell’esonero, perdendo solo una gara e pareggiandone due. Mentre Lucarelli in casa quest’anno ha già lasciato per strada dieci punti, perdendo peraltro contro avversari assai improbabili come Casertana o Leonzio.

D’altra parte Lucarelli, quest’anno, ha già vinto 8 partite in trasferta, ossia tante quante ne hanno vinte insieme fuori casa, nelle ultime stagioni, i vari Rigoli, Petrone, Pulvirenti, Pancaro, Moriero, Sannino, Pellegrino, Marcolin, Maran, De Canio e ancora Pellegrino messi insieme. Sono numeri, basta controllare. E sui numeri c’è poco da discutere.

Certo che il calcio è strano, però. Perché vai a guardare i numeri e scopri che il mite Rigoli, da tutti descritto come un accanito e inguaribile difensivista, è stato invece capace di trasformare il Massimino in una fossa dei leoni. Mentre il focoso Lucarelli, un centravanti da 120 reti in serie A su 302 presenze, si trova molto meglio quando la sua squadra deve coprirsi e ripartire in trasferta che quando le tocca imporre il proprio gioco tra le mura amiche. Vacci a capire qualcosa.

Non sarebbe, del resto, una soluzione inedita. Già ai tempi di Gaucci viaggiammo abbastanza felicemente lungo un campionato di serie B con una coppia di allenatori composta da Stefano Colantuono e Gabriele Matricciani. Con il compito, il primo, di allenare la squadra pur non essendo ancora in possesso del tesserino adatto alla categoria. E con l’incarico, il secondo, di firmare la presenza in panchina e presentarsi ai microfoni dei giornalisti per commentare la partita. Un po’ inconsueto, ma funzionava.

Anche quest’anno, in fondo, farebbe comodo affidare le interviste del dopo partita a qualcuno che non sia Lucarelli. Si eviterebbe di sentirgli dire, nella foga, alcune cose di cui onestamente non si capisce il senso. Per esempio che i nostri giocatori vanno guardati con indulgenza perché guadagnano appena millecinquecento euro al mese. I quali sono pochissimi, beninteso, per ragazzi che hanno davanti una carriera lavorativa di quindici anni o poco più. Ma non spiegano certo perché a volte questi ragazzi, in casa, scendano in campo con le gambe molli o con la testa vuota.

Sarebbe contenta anche la società. Che non sentirebbe dire a Lucarelli altre cose magari più sensate ma ancor meno gradite. Per esempio che il Catania non può permettersi di spendere quel che può spendere il Lecce. Cosa abbastanza evidente per chi ricorda in che acque si trovi da anni il proprietario di questa società, costretto spesso a salire e scendere le scale dei tribunali. Ma che certamente nessuno ama sentirsi ricordare. Come dimostrano i rimproveri che Lo Monaco – e non è la prima volta – ha rivolto all’allenatore.

Non sarebbe una cattiva idea, no, dividere i compiti e raddoppiare le energie sulla panchina rossazzurra. Anche se credo che a Lucarelli, nella distribuzione dei compiti, resterebbe sempre l’ingrata incombenza di far da parafulmine per la rabbia dei tifosi. Alla quale più d’una volta, è vero, ha prestato il fianco con scelte tecniche cervellotiche e con dichiarazioni un po’ avventate. Ma alla quale – e sicuramente, conoscendo la piazza, lui lo sa – è esposto fin dal principio della stagione. Con la clausola sottintesa di doversi prendere le colpe di tutto quel che non va bene. Anche quando queste colpe non sono soltanto sue.