Punto e a capo: altro che finali, il Catania deve solo pensare a fare i compiti

Claudio Spagnolo

Ecco, d’ora in poi ogni partita che resta dovrà essere vissuta come quella di sabato: una serie di compiti per casa, da svolgere con la massima diligenza, sfruttando al meglio le doti che madre natura ci ha regalato (il lancio di Lodi a Curiale appena entrato, che ci ha permesso di consegnare al passato l’oscena figuraccia di Monopoli). E mettendoci dentro tutta la capacità di impegno, di fatica, di sudore di cui siamo dotati (la corsa disperata di Manneh e Di Grazia quando, nella ripresa, abbiamo capito che la vittoria non ci sarebbe piovuta in testa, ma che toccava a noi inseguirla e andarcela a raccogliere). Né più né meno che così, ogni domenica o sabato che sia, di qui a quando ci aspettiamo che possa essere primavera. Punto.

E non mi convince nemmeno la retorica gladiatoria delle dieci finali, manco dovessimo giocare una domenica al Bernabeu e l’altra all’Olimpico di Berlino. Compiti per casa, è solo questo ciò che tocca al Catania. Compiti da svolgere sempre, tutti e bene, a prescindere dal fatto che ci aspettiamo o meno, per l’indomani, l’interrogazione decisiva. E men che mai chiedendosi se ad essere interrogato sarà, al posto nostro, il primo della classe, o abbandonandosi al sogno che per una volta scivoli, quell’antipatico, sulla propria presunzione. A noi tocca studiare tutti i giorni, al massimo delle nostre possibilità. Più o meno come si pensava di dover fare ai tempi in cui io andavo a scuola. E come spero che  qualcuno faccia ancora, nonostante decenni di strampalate riforme che sulla scuola si sono senza pietà abbattute.

E si devono fare, questi, compiti – sempre, e senza far storie – sia che le materie ci piacciano sia che ci stiano antipatiche. Lasciando agli altri il lusso, che noi non possiamo permetterci, di dare a una partita più importanza delle altre. Non ce ne sono, partite meno importanti. E non ci sono derby, in serie C. Come non è mai stato un derby questa sfida col Siracusa: che abbiamo fatto malissimo, all’andata, a festeggiare come se per noi quest’avversario contasse più di un Bisceglie o di un Rende. Ma di cui adesso dobbiamo solo scordarci in fretta, sfogliando in avanti le pagine del diario o del registro elettronico e pensando da subito e soltanto ai prossimi compiti per casa. Perché la vittoria di sabato non è stato altro che questo, un compito diligentemente svolto, niente più che il doveroso adempimento di un impegno che ci eravamo assunti e che non potevamo trascurare. Punto.

E non ha più importanza ripensare al fatto che, qualche mese fa, contro la Sicula Leonzio, abbiamo rimediato una delle più ingloriose figuracce di quest’annata. Né si deve commettere l’errore di fare i compiti sbirciando sul cellulare ciò che succede agli altri e illudendosi che, a quegli antipatici dei primi della classe, stia finalmente per capitare la giornata storta. Cosa che tra l’altro, mi sa, porta pure sfiga. Come avranno imparato i giocatori del Napoli, che sabato sera, con troppo agile speranza, mentre erano negli spogliatoi, hanno precorso quel passo falso della Juve che poi non c’è stato. Senza sapere che, di lì a poco, il passo falso, e che passo, lo avrebbero fatto loro. Purtroppo.

Esser promossi subito, in questo campionato, è ancora più complicato di quanto lo fosse un tempo, a scuola, prima che generazioni di sciagurati ministri combinassero quel che hanno combinato. Non importa. Sappiamo che, se la promozione non arriverà, la colpa sarà stata tutta nostra e dei nostri sbagli. E che solo l’impegno a non ripeterli più, nemmeno una volta, potrebbe regalarci la pur tenue speranza di farcela, se non subito, almeno agli esami di riparazione. E questo, finché forse non sarà primavera, è tutto quel che ci serve sapere.

Punto, e a capo.