Unni siccu e unni saccu: i mari del Sud e gli esperimenti tattici di Lucarelli

Claudio Spagnolo

Adesso però, caro Lucarelli, non montiamoci la testa. Che Lei sia un uomo di calcio con buoni attributi caratteriali – quegli attributi, intendo, che ha saputo sfoderare nell’intervallo di certe partite, trasformando i giocatori da pappemolle in gladiatori – glielo abbiamo riconosciuto in tanti, e Lei lo sa. Che abbia messo mano alla testa dei giocatori, trasformando in un evento plausibile la vittoria in trasferta, per anni negataci da quel che sembrava un destino ineluttabile, lo dicono i numeri, e noi lo ripetiamo con piacere. Ci mancherebbe.

Che però Lei sia già un consumato volpone della tattica, che la sappia tanto lunga da poter permettersi scelte azzardose che nessuno capisce, è ancora tutto da dimostrare. E se poi queste scelte azzardose ci fanno perdere le partite, partite che magari non avremmo perso assecondando semplicemente il comune senso delle cose, beh, caro Lucarelli, ci permetta di dirlo: certe cose lasciamole fare a Ventura.

È proprio a Ventura – alla sua scelta incomprensibile, per esempio, di rinunciare a Insigne quando c’era da battere la Svezia – che m’è venuto da pensare vedendo la formazione sperimentale che Lei ha schierato a Trapani. Cambiando lo schieramento che ci aveva portato bene nelle ultime partite, rinunciando contemporaneamente per tutto il primo tempo a Russotto e a Di Grazia e in compenso costringendo Semenzato a un ruolo alquanto ibrido, visto che, da difensore che è, si è trovato a fare, piuttosto, l’ala destra. Cosa che – senza nulla togliere a lui – un’ala destra avrebbe magari fatto meglio, almeno al momento di tirare in porta. Perdoni l’ignoranza del ragionamento, ma noi siamo tifosi. E di calcio, a dire il vero, non ne capiamo granché.

Per non dire poi di quando, a partita compromessa, di attaccanti in campo ce ne sono stati addirittura quattro. Unni siccu e unni saccu, si dice dalle nostre parti. Detto che, per i non siculofoni, potrebbe gorssomodo sintetizzarsi nella massima oraziana secondo cui sarebbe meglio trovare una giusta via di mezzo tra il troppo poco e il troppo. E insomma – per quanto, alla fine, non abbiamo rimediato certo una figuraccia paragonabile a quella che pochi mesi fa la Spagna inflisse all’Italia al Bernabeu – anche in questo caso la conclusione, scusi se mi ripeto, mi pare la stessa: certe cose lasciamole fare a Ventura.

Quest’estate – e sappia che l’estate qui a Catania arriva presto, prima della torrida stagione dei play off – mi piacerebbe vederLa festeggiare la promozione con un bel tuffo nel nostro mare, magari a San Giovanni Li Cuti, a due passi dalla piazza di tante nostre feste rossazzurre. Senza correre il rischio, che sarebbe più che concreto se dovessimo affidare le nostre speranze solo a qualche incerta lotteria di fine stagione, di dover poi affogare i rimpianti per ciò che poteva essere e non è stato in lidi esotici e costosi. Certe cose, La prego, lasciamole fare a Ventura.