Al Nino e Romonaca di nuovo insieme

Claudio Spagnolo

Ho sognato Barbara D’Urso. E giustamente, direte voi, chissenefrega. Il fatto è che nel suo salotto del gossip c’erano ospiti niente male. Su due poltroncine, l’una vicina all’altra, stavano seduti nientemeno che Al Bano e Romina. In più, in collegamento da qualche parte del mondo, c’era pure Loredana Lecciso. Se ne stava in spiaggia, non so bene dove (Miami? Uruguay?). Il
mare, alle sue spalle, non prometteva niente di buono. Sembrava anzi scosso dallo tsunami. Ma lei sorseggiava tranquillamente un drink e, di tanto in tanto, s’affacciava sul teleschermo, dalla sua sdraio, in canottiera.

Al Bano, più o meno, era come lo conosciamo: bassino, olivastro, con la voce pronta all’urlo. Anche se quella voce, di tanto in tanto, tradiva un incongruo accento di Belpasso. Quanto a Romina, devo dire, non sembrava messa granché bene. I suoi lunghissimi capelli erano stati accorciati da un parrucchiere traditore, la sua calata britannica si accendeva di una strana patina campana e il suo volto un po’ in carne assomigliava, per dirla tutta, a quello di Pietro Lo Monaco. Della Lecciso, poi, meglio non parlare. Era abbronzatissima, in gran forma, per carità. Ma esibiva un tatuaggio un po’ ardito: forse il gesto di ribellione di una moglie costretta troppo a lungo, e controvoglia, a dedicarsi al marito e alla campagna. E di tanto in tanto ammiccava ad Al Bano, ricordandogli di avanzare da lui un milione e mezzo di euro.

Ma sembravano felici, Al Bano e Romina insieme. Felici di quella felicità che è tenersi per mano e andare lontano. Felici come quando t’arriva una telefonata non aspettata, e magari non c’è manco un maresciallo a intercettarla. Felici di tornare a cantare insieme, e di farlo – sembrava di capire – per amore. Tanto da promettere al pubblico prezzi stracciati per i prossimi concerti. Alla faccia di chi insinua che, dietro la reunion artistica, ci siano solo i rubli di qualche magnate russo. È stato un bel sogno, davvero. Con Romina che si concedeva qualche cattiveria sul look della Lecciso, e ogni tanto ricordava che la felicità è abbassare la luce per fare la pace. Con la conduttrice che insisteva su un’altra metafora, anche’essa di natura elettrica: una storia in cui qualcuno accendeva la luce e dopo un po’, lui stesso, la staccava.

È stato bello, almeno fino a un certo punto: precisamente fin quando i due si sono alzati in piedi per cantare. E mentre lo sguardo indugiava su Romina – la cui figura appariva un po’ meno slanciata di un tempo – ben presto l’orecchio ha percepito con sgomento che qualcosa non andava. Al Bano provava a cantare, a prodursi in uno dei suoi proverbiali acuti, ma la voce non gli usciva dalla gola. Non ne aveva più. E la Lecciso, dalla sua spiaggia, che se la rideva. Sembrava un bel sogno, ma non ricordo bene il finale. Ricordo solo che, mentre quel cantante che era ormai l’ombra di se stesso si sforzava di far dissequestrare qualche nota dalla sua ugola, cominciavano a scorrere i titoli di coda. Che non si limitavano a ringraziare per la partecipazione sia Al Nino che Romonaca. Ma finivano con una frase in latino, una citazione da Catone il Censore: Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.

Una frase che – mi sono detto svegliandomi – riflette probabilmente, come spesso accade, i desideri e forse anche i pregiudizi di chi l’ha sognata. Solo che, per quanto il ritorno di Lo Monaco abbia rimescolato le carte, per quanta fiducia si possa avere nel dirigente che ha regalato al Catania otto anni di serie A – e oggi sembra offrirci una speranza di cominciare a risalire – il nome di Lo Monaco non cancella la realtà di un proprietario che combatte con fallimenti delle sue aziende, avvisi di garanzia e sequestri di denaro, di una società indebitata e che fatica a pagare gli stipendi; né cambia la prospettiva di diversi campionati minori e per loro natura finanziariamente in perdita. Per tacere delle altre cose che ha combinato Pulvirenti, delle scuse mai rivolte ai tifosi. E delle non poche persone che, finché ci sarà lui, non hanno alcuna intenzione di rimetter piede allo stadio.

Ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum, dunque. Almeno fin quando alle parole non seguiranno fatti concreti.