Biagianti che esce dal campo: quella foto amara nell’album dei nostri ricordi

Claudio Spagnolo

Era da molti anni che, di un campionato giocato dal Calcio Catania, non mi riusciva di portarmi a casa un fotogramma, un’immagine, una sequenza che ne custodisse dentro di sé il ricordo. Uno di quegli scatti che, per un tifoso, restano a lungo affissi nella bacheca dell’anima. E che sommati tra loro ricostruiscono la trama dell’esistenza sportiva di ognuno di noi.

Uno scatto come quelli di trentacinque anni fa, dove, in un pomeriggio assolato all’Olimpico, le bandiere rossazzurre danno un insolito colore all’infinita dolcezza di un tramonto romano. O come quello che ci ha consegnato per sempre la gioia beffarda di un gol segnato da centrocampo sul terreno dei rivali, e che ritrae il malcapitato portiere rosanero finito a ruzzolare dentro la propria porta, insieme a quel pallone calciato da Mascara. Se dovessi dire però qual è lo scatto più caro degli anni della serie A, la prima immagine che mi viene in mente è quella di Marco Biagianti. Che ricordo girare il campo del Massimino sotto il sole, tra gli applausi del pubblico, alla vigilia di un addio annunciato e che poi non ci sarebbe stato. Piangeva, quel pomeriggio, Marco: piangeva perché sentiva di dover lasciare la città in cui era arrivato ragazzo ed era uscito calciatore. Come piangerebbe chi all’improvviso si accorge di esser cresciuto e che è arrivato il momento di strappare quelle radici che lo rendono forte.

Non vorrei che, anche per quest’anno, l’immagine destinata a restarci nella memoria fosse di nuovo quella di Biagianti. E fosse però un’immagine profondamente diversa da quell’altra. Quella di un ragazzo affaticato, ferito nei legamenti e forse nell’ottimismo ma certamente un po’ invecchiato, almeno per l’anagrafe. Affaticato, ferito e invecchiato come ci sentiamo anche noi. Che non riusciamo proprio a far festa per un pareggio con la Vibonese – e dicasi la Vibonese – e che siamo costretti a interessarci durante la settimana, più che al campionato giocato sul campo, a quell’altro che si disputa negli uffici federali, nei tribunali, negli uffici di banche e altri club. Quelli deputati a decidere se potremo iscriverci al prossimo campionato, a che condizioni, e se potremo farlo, almeno quest’anno, partendo da zero punti al pari di tutte le altre squadre.

Anche noi, in fondo, ci sentiamo un po’ così: zoppicanti, e, troppo spesso, innervositi dalla frustrazione. Che ogni settimana, dopo averci lasciato dondolare sull’altalena della speranza, ci scaraventa poi sul duro suolo della realtà. Facendoci sentire lontani, più che dagli avvicinabili play off, dalle immagini e dai ricordi che gli stessi giocatori di oggi sapevano regalarci non molti anni fa.