Invasioni, scheletri e dita puntate: lo stadio di Siracusa e il dovere di prevenire

Marco Di Mauro

Questo Siracusa-Catania mancava da 24anni, al Siracusa. Era una partita attesa, tanto. Forse troppo, così da cominciare un’ora prima del calcio d’inizio. Ma nel peggiore dei modi. Come raccontato da MondoCatania, e confermato dal giudice sportivo, un gruppetto di ultrà del Siracusa ha raggiunto i calciatori del Catania, appena entrati in campo per la ricognizione, cercando il contatto a muso duro, insultandoli. Il tutto senza che gli steward intervenisseroprima, per evitare l’accaduto. E senza che il club siracusano abbia spiegato, poi, come tutto ciò sia potuto accadere. Perché il fatto davvero grave, più dell’aggressione verbale, è che si siano venute a creare tutte le condizioni tali da permettere che questa avvenisse, e nessuna invece per impedire che non succedesse qualcosa di  peggio.

Per di più è successo nello stesso stadio, e nella stessa partita che – questa estate, in Coppa Italia – aveva già offerto un precedente simileUn’invasione di campo da parte di un ultrà siracusano, che partito dalla curva Anna aveva attraversato indisturbato tutto il terreno di gioco per inveire contro i tifosi del Catania, ai quali allora fu concesso di andare in trasfertaStavolta invece non è stato concesso loro di assistere alla partita, per ragioni di ordine pubblico, probabilmente in relazione agli scontri avvenuti a margine di quella partita. Eppure i problemi di sicurezza, come testimoniano i fatti, non sono mancati.  La domanda da farsi, prima di tirare in ballo responsabilità e fare dietrologie, è: tutto ciò è normale che accada? E a seguire: se non si fa nulla per evitare che succeda di nuovo, ma anzi si minimizza o si tenta di nascondere l’accaduto, chi garantisce che non possa succedere qualcosa di ben peggiore la prossima volta?

Trattando adesso di responsabilità, in senso pratico, i fatti di sabato scorso lasciano pensare che il Prefetto di Siracusa avrebbe dovuto prestare almeno la stessa cura riservata ai tifosi ospiti – ai quali è stato impedito l’accesso allo stadio – anche alla parte più facinorosa e recidiva della tifoseria locale. Che è una minoranza – come lo è quella di qualsiasi altra tifoseria –, decisamente esigua se proporzionata, nello specifico, a una piazza da 5mila allo stadio. E proprio per questo chi si occupa di pubblica sicurezza dovrebbe riuscire a isolarla a tenerla lontana dagli spalti, e da qualsiasi altro palcoscenico le permetta di mettersi in mostra dando il cattivo esempio, e di ingrossare il proprio seguito.

Quell’episodio avvenuto a spalti quasi deserti – che perciò in pochissimi hanno visto, ma di cui tutti parlano – di certo sarebbe stato meglio non fosse mai avvenuto: ne avrebbe guadagnato il pubblico e lo sport siciliano. Purtroppo è avvenuto. Ed è poco probabile che una multa del giudice sportivo o un’indagine del ministero dell’Interno possano scongiurare che avvenga di nuovo, o che avvenga di peggio. Non se il massimo responsabile del club in un primo momento si dice “orgoglioso” di quei sostenitori che – già prima che a scriverlo fosse il giudice sportivo – erano subito apparsi «indebitamente presenti sul terreno di gioco», e che avevano rivolto «ai calciatori della squadra avversaria reiterati insulti accompagnati da tentativi di contatto fisico».

Le dichiarazioni del presidente del Siracusa sono state poi rettificate, ma solo in parte. Anteponendo il lancio di un accendino a ciò che la presenza in campo degli ultrà ha significato o avrebbe potuto significare. Al netto del comprensibile fastidio generato dall’essere accusati dal vicino di casa, il senso di responsabilità morale di chi guida una squadra e la sua gente dovrebbe indurre a sviluppare la capacità di rendersi conto che un problema c’è, esiste, era già stato denunciato ma si è ripetuto. A non giustificarlo chiamando in causa presunte provocazioni dei giocatori avversari, del tutto assenti nel referto arbitrale. Ad ammettere che, a sporcare l’immagine di una vittoria limpida, sul campo, non sono state le parole del vicino ma le azioni di alcuni inquilini del proprio stadio. Che da certe decisioni e parole potrebbero persino sentirsi legittimati.

Sbagliare è umano e ogni errore è un’opportunità per crescere e migliorare. Cercare di nascondere i propri scheletri nell’armadio, mentre si fruga in quello altrui, è invece il miglior modo per commettere in futuro errori irreparabili, e rischiare un giorno di piangere su questi scheletri. E ciò vale per il Catania, per il Siracusa, per qualunque club di calcio e per qualunque funzionario dello Stato che abbia su di sé la responsabilità pratica della sicurezza. D’altro canto c’è da riconoscere che non si può puntare l’indice verso il prossimo senza puntare tre dita verso di sé. Ma è pure vero che chi non denuncia è complice di quel che è già successo, ed è responsabile di quel che di più grave potrebbe succedere. Di certo, moralmente.