Massimino, Pulvirenti e La Sicilia: i tre peli, i due pesi, le due misure

Claudio Spagnolo

So bene che a molti – è legittimo – non piace sentir parlare sempre di Pulvirenti: dei dissesti finanziari e giudiziari che ci ha regalato, della sua ritrosia a cedere il Calcio Catania a un prezzo sensato, delle pene che ci son costate le sue scelte degli ultimi tre anni. Pare, anzi, che soffermarsi su questo sia un po’ come calcolare il numero dei peli del maiale: i quali, come insegna la saggezza popolare, non smetteranno mai di esser tre, a dispetto di ogni verifica e riconteggio.

E magari è vero. Può darsi che in molti – non ultimo chi scrive – non facciano in effetti che perdere il proprio tempo in vane e ripetitive disquisizioni di tricologia suina (la scienza che studia, appunto, il numero di peli del maiale). Un errore che avrebbero commesso, di recente, anche alcuni contestatori annidati sugli spalti di Torre del Grifo. Subito stigmatizzati dal quotidiano «La Sicilia», che ne ha qualificato l’apparizione come «nota dolente, per fortuna fugace»; senza nascondere il fastidio per «il solito ritornello contro la proprietà del Catania».

Dopo un anno come quello che è passato – lo capisco – potrebbe anche venir voglia di dar ragione a «La Sicilia». Di convincersi davvero che ai tifosi convenga prendere ad esempio l’aplomb anglosassone con cui il quotidiano locale segue le pur tristi vicende dell’attuale proprietà rossazzurra. Di allinearsi all’idea che – visto che pubblico e stampa rientrano tra le componenti del successo di un club calcistico – sia quasi un dovere civico non disturbare il manovratore. Senza più chiedersi quale sia la meta verso cui ci porterà il viaggio.

Un amico però, mi ha fatto leggere un altro ritaglio di giornale. In cui il cronista dà voce a molti catanesi illustri, in genere infastiditi dal fatto che il presidente non voglia cedere la società. Si rammarica del disamore dei tifosi; dà spazio all’auspicio che un giorno o l’altro, sulle tribune dello stadio, resti a sedere, come unico spettatore, proprio e solo il suddetto presidente. E profetizza, nell’ispirato finale, come quest’ultimo e la sua squadra siano destinati a fare «una fine patetica». Che si può chiedere di più a un giornalista? Lui, ci tiene a sottolinearlo, può solo schierarsi con energia dalla parte giusta («è il nostro ennesimo amaro riscontro, di più non possiamo proprio fare»). Ora, chi può dovrebbe darsi da fare («Tocca agli altri agire»). Darsi da fare perché il presidente finalmente se ne vada.

E il bello è che il giornale in questione è proprio «La Sicilia». Lo stesso, proprio lo stesso, che abbiamo appena sentito bacchettare i tifosi impertinenti. E non basta: la firma sotto l’articolo è di  Giovanni Tomasello. La stessa, proprio la stessa, che compare sotto l’articolo sui cori contro Pulvirenti. Una coincidenza quasi perfetta.

Salvo per un piccolo particolare: la data dei due articoli. Il più recente, quello che bacchetta i tifosi, è uscito pochi giorni fa, esattamente il 31 luglio. L’altro è vecchio di trent’anni, quando il presidente da cacciare si chiamava Massimino. Ma si tratta di dettagli, minuzie, peli: roba, anche questa, da tricologia suina.

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La profezia di trent’anni fa (la fine patetica di Massimino e del “suo” Catania, peraltro mai coinvolto in scandali sportivi) non mi par proprio, poi, che si sia avverata. Avrà maggior fortuna, «La Sicilia», con i suoi strali di oggi ai contestatori di Pulvirenti? O finiranno per aver ragione questi ultimi? La saggezza suina suggerisce di attendere: alla fine, il maiale, lo legherà chi ha più corda.