Pietro Lo Monaco è tornato, i problemi non sono andati via

Marco Di Mauro

Pietro Lo Monaco è un nome accompagnato da un cognome. Pietro Lo Monaco è un dirigente di calcio, fatto di carne, ossa e accento napoletano. «Pietrolomonaco» non è una formula magica. E il solo averlo rinominato – sarà presto, di nuovo, amministratore delegato e direttore generale – non risolve come per incanto tutti i problemi che hanno portato il Calcio Catania nelle condizioni in cui si trova adesso. Potrà cambiare il punto di vista e il metodo con cui affrontarli, ma quei guai non sono svaniti. Sono gli stessi che oggi, anche con Pietro Lo Monaco al comando, minacciano l’esistenza del Catania, ne frenano le ambizioni di rilancio, complicano il lavoro quotidiano. E Pietro Lo Monaco lo sa:

– Che dire «pietrolomonaco» non basta a cancellare la penalizzazione di un punto che verrà affibbiata al Catania per delle irregolarità sul pagamento degli stipendi dei calciatori. E non è nemmeno in grado di fare apparire dal nulla i mila euro necessari per l’iscrizione in Lega Pro. Quelli che lo scorso anno fu costretta, in ritardo, a mettere Finaria. Né tanto meno a riempire una pentola d’oro coi milioni di euro da investire per ripianare i debiti in bilancio e puntare alla serie A in quattro o cinque anni – come promesso nel piano di rilancio – e nel frattempo reggere l’urto di campionati minori che producono solo spese e nessun guadagno.

– Che dire «pietrolomonaco» non può far dimenticare ai tifosi del Catania che il proprietario del loro club, Antonino Pulvirenti, ha ammesso davanti a un magistrato di avere tentato di combinare il risultato di cinque partite. Sostenendo che Pablo Cosentino, da lui scelto come amministratore delegato, anche in quella vicenda non avesse colpa. Per poi presentarsi alla nazione davanti alle telecamere di Sky e, otto anni dopo la morte dell’ispettore Filippo Raciti, difendersi dall’accusa di frode sportiva sostenendo di avere «agito per paura – disse -. È un anno che ricevo minacce di morte e Catania sappiamo che piazza è, cosa è successo in passato». Senza mai avere rivolto, ai tifosi, la parola «scusate».

– Che dire «pietrolomonaco» non è sufficiente per ritrovarsi nello spogliatoio un organico competitivo, e in campo una squadra temuta e allo stesso tempo vincente; allenata da un tecnico che sia bravo e soprattutto aziendalista. Tra l’altro non convincerà i dirigenti degli altri club a regalare i propri gioielli al Catania. Come difficilmente riuscirà nel miracolo di convertire i calciatori – e di buoni ne servono almeno una decina, per pensare alla promozione – dalle logiche del portafoglio a quelle del cuore. Nè renderà meno competitivo il campionato di Lega Pro o in discesa la marcia verso la serie B. Men che meno, poi, quella che dovrà portare in serie A entro cinque anni.

– Che dire «pietrolomonaco» non permetterà, purtroppo, nemmeno di venire fuori dalla logica di stampa amica e stampa nemica. Un bel pericolo, considerato che la condizione in cui si trova il Catania è dovuta pure a tre anni in cui parte della stampa locale ha gettato acqua sul fuoco anziché mandare messaggi di fumo. L’informazione schierata, con una fazione o con l’altra, è un’informazione che in un modo o nell’altro fa il male del Catania. Sarebbe ora di capirlo: alla società tocca passare dalle parole ai fatti, alla stampa usare le parole per informare dei fatti i propri lettori. I soli ai quali il giornalista deve rendere conto, e ai quali deve fedeltà incondizionata.

I problemi che Pietro Lo Monaco si è preso in carico, accettando di tornare a Catania, questi sono. E sa che non basteranno le parole, né la parola «pietrolomonaco» per risolverli o farli scomparire. Servono i fatti, e per fare i fatti – nella gerarchia delle cinque componenti – servono: i soldi, una squadra forte, la fiducia dei tifosi, l’obiettività della stampa. Ritrovate queste componenti, non servirà cercare la quinta- il Comune – per trovarla. Facile a dirsi, meno a farsi. Tocca a Pietro Lo Monaco riuscirci. Buon lavoro.