Scommesse, arance, salumi, sanitari: quando lo sponsor fa rima con liscìa

Claudio Spagnolo

E adesso, per favore, non venitemi a fare gli spiritosi sul nuovo sponsor del nostro Catania non ancora depulvirentizzato; sul fatto che l’agenzia di scommesse Domus Bet (scommesse perfettamente legali, è bene sottolinearlo) abbia scelto d’associare il suo nome a quello di un imprenditore che la magistratura ha accusato di aver alterato, o almeno cercato di alterare, i risultati di un certo numero di partite. Evitiamo, per carità, il facile sarcasmo; come quello di chi adesso domanda se, già che c’eravamo, lo sponsor del Catania non potesse essere direttamente Trenitalia. O se non  fosse addirittura il caso – visto l’alternarsi, nella vita recente del proprietario, di periodi di libertà con altri trascorsi agli arresti, benché solo domiciliari – di tornare a rivolgersi alle allusive arance rosse di Sicilia. Per favore, siamo seri.

Il fatto è che – l’esperienza sta a dimostrarlo – la scelta degli sponsor, nella storia della nostra squadra, risponde a volte, più che a interessi commerciali, a un’esigenza propriamente e tipicamente catanese: quella di obbedire a quanto ci detta il nostro genius loci, di dar sfogo a quella tendenza del nostro carattere che l’intraducibile dialetto siciliano designa come liscìa.

Pensate alla stagione 2007-2008. Quando la squadra, affidata all’incerta guida di Silvio Baldini, affrontò il suo secondo campionato di serie A puntando forte su alcuni talenti incompresi e incomprensibili. Come il portiere Ciro Polito, preferito a lungo all’argentino Albano Bizarri pur vantando l’invidiabile score di un gol subito per ogni tiro in porta ed essendo solito giocare con le suole degli scarpini rivestite di Bostik. O come il difensore Gennaro Sardo, inopinatamente insignito del ruolo di titolare inamovibile pur possedendo il senso tattico di un cercopiteco e piedi interamente fabbricati in legno massello. A regalarci i migliori auspici per quella impervia stagione – prima che il dio del calcio avesse pietà di noi e ci mandasse Walter Zenga – era già stata la scelta dello sponsor: che non poteva che essere una nota ditta catanese, specializzata nel campo, metaforicamente non felicissimo, degli idrosanitari.

Dite che fu un caso? Anch’io a lungo l’ho pensato. Fin quando – nell’anno della retrocessione in serie B, proprio all’inizio della calamitosa era di Pablo Cosentino –  a campeggiare sulle maglie rossazzurre non fu il nome di una ditta che esercita con grande successo la nobile arte della norcineria. Nel che non ci sarebbe stato nulla di male, se la ditta stessa non si fosse inventata questa benaugurante pagina pubblicitaria: in cui accostava tutti i nostri giocatori – direi, peraltro, con qualche buona ragione – a mortadelle sovrappeso, insaccati fessacchiotti e altri derivati della carne di porco.


Anche quest’anno, mi pare, la scelta dello sponsor contiene una nota umoristica nient’affatto da disprezzare: di quell’umorismo che, come ci insegna Pirandello, è fatto dell’unione inscindibile di lacrime e sorrisi; e che ci permette di galleggiare nella vita senza buttare in tragedia ciò che tragedia non merita di essere. È anche per questo, dunque – con il sorriso di chi si augura ogni bene per la propria squadra, col sopracciglio un po’ scettico di chi si chiede donde mai possa venire del bene se dovesse permanere l’attuale proprietà – che mi permetto di disegnare qui la maglia del Catania che vorrei. Scrivendoci sopra lo sponsor che vorrei.

E lasciando al lettore il piacere di decifrare l’acronimo.