#70anniCatania: Ingiustizie e vergogne: quando l’Elefante rischiò di morire

Roberto Quartarone

Il Catania Calcio spegne settanta candeline. La società come noi la conosciamo, matricola 11700, è nata il 24 settembre 1946 a due passi da piazza Stesicoro, diretta discendente di quella Afc Catania sciolta tre anni prima dalla forza della guerra mondiale. Settant’anni sono un traguardo da tagliare ripensando però anche a quante volte si è temuto per la sopravvivenza del club. Partendo dalla prima partecipazione alla Serie A.

ASSEGNI SMARRITI.  Nel 1955 si perde la categoria a tavolino, la Serie A, per il primo Caso Catania. La storia racconta di un arbitro, Ugo Scaramella, che avrebbe offerto alla dirigenza rossazzurra la propria abilità per sistemare le partite contro Genoa e Atalanta. Il vicepresidente dei rossazzurri, Giuseppe Galli, avrebbe risposto pagandogli tre rate da mezzo milione di lire, con la mediazione di Giulio Sterlini, ex segretario rossazzurro e giornalista.  Cosa succeda in realtà non è stato del tutto chiarito: la giustizia sportiva condanna comunque il Catania alla retrocessione perché la linea difensiva è piuttosto leggera. Si basa sulla teoria di un complotto orchestrato da Sterlini insieme all’ex presidente Arturo Michisanti e su un blocchetto degli assegni, proprio quello da cui sarebbero stati girati i soldi per Scaramella, a cui mancano le matrici incriminate. Troppo poco: il Catania perde così la sua prima Serie A con la macchia di un caso di corruzione.

MASSIMINO. Negli anni a seguire, il Catania viene salvato dai milioni investiti da un nuovo presidente, Angelo Massimino, che pure per questo – dopo essere stato tanto osannato quanto criticato – sarà ricordato come Presidentissimo. Tutto però sembra perduto nell’estate del 1993. La Figc, allora presieduta da Antonio Matarrese, è intransigente di fronte alle ragioni di Massimino riguardo a una fidejussione presentata in ritardo, e decide che il nome del Calcio Catania 1946, con tutta la sua storia, vada radiato, cancellato. Mentre i tifosi rossazzurri si incatenano davanti alla sede della Figc, Massimino inizia una battaglia per tenere il Catania in vita. Combatte contro la Figc, contro la stampa e contro la politica che intanto guardano con favore l’ascesa di un nuovo club: l’Atletico Catania.  Matarrese deve però arrendersi il 9 ottobre 1993 davanti alla sentenza del Cga (Consiglio di giustizia amministrativa) che dà ragione a Massimino. La Figc riammette il Catania ma lo colloca in Eccellenza. Il Catania però può ripartire, grazie a Massimino, e iniziare la sua ascesa verso il ritorno in A.

INCATENATI A ROMA. Dieci anni dopo lo stadio Cibali porta il nome del Presidentissimo – scomparso nel 1996 – e il Catania è appena ritornato in serie B sotto la presidenza della famiglia Gaucci. C’è maretta, si rischia di naufragare subito in Serie C1. Una vittoria a tavolino contro il Siena però, può salvare il veliero. Tuttavia, la Corte Federale – l’organo della Figc, allora presieduta da Franco Carraro – si arroga un potere che non ha e toglie al Catania due punti che causano la retrocessione. Come nell’estate del 1993 scoppia la rivolta a Catania. I Gaucci iniziano una nuova battaglia legale. I tifosi si incatenano di nuovo davanti alla Figc. Si va al muro contro muro tra giustizia ordinaria – che dà ragione al Catania – e giustizia sportiva che asseconda il volere di Carraro. Alla fine è il Governo che trova «una soluzione eccezionale e non ripetibile che ponga la parola fine alla vicenda, con la formula che riterrà più opportuna e funzionale»: nel 2003-‘04 la Serie B si allarga a 24, C’è anche il Catania al via. E un altro tentativo di affossare la società è respinto.

AUTODISTRUZIONE. Nel 2013 il Catania – tornato in serie A nel 2006 –  continua al sua ascesa e sfiora la qualificazione in Europa League. Il presidente, Antonino Pulvirenti, non è però soddisfatto e chiama al dirigere il club un ex procuratore argentino: Pablo Cosentino. La sua squadra, costruita con schizofrenia e costosi investimenti, retrocede con pochi rimproveri da parte della stampa e tanti slogan sul sicuro ritorno tra le grandi. Ma in serie B va ancora peggio. Il tifo si spacca, la squadra rischia la Lega Pro. È allora che Pulvirenti – secondo la Procura di Catania – si veste da capostazione e cerca di combinare alcune gare. Scoperto: confessa ai giudici, si dimette da presidente e mette in vendita il club. La giustizia sportiva lo condanna e retrocede il Catania in Lega Pro. Il club finisce sull’orlo del dissesto economico. Per due anni – gli ultimi due – rischia di non iscriversi al campionato con la conseguenza di perdere il nome Calcio Catania 1946, la matricola e di dovere ricominciare dai dilettanti.  Un’autodistruzione di cui i massimi dirigenti sono di certo protagonisti assoluti, che si spera conclusa col ritorno di Pietro Lo Monaco, ma sulla quale la giustizia ordinaria non ha fatto ancora completamente luce.