Catania-Cosentino: la storia d’amore mai iniziata è già finita

Veronica Celi

Fonte: CALCIOCATANIA.IT - Sito ufficiale

Tutti contro Cosentino? O Cosentino contro tutti? Difficile scegliere quale dei due titoli descriva meglio l’epopea rossazzurra dell’ex agente FIFA. Sta di fatto che, sia in un caso che nell’altro, risalta all’occhio il tormentato rapporto dell’argentino con stampa, tifoseria e non solo. Eppure al suo arrivo nessuno avrebbe mai immaginato che il Catania dei record, lo stesso reduce dall’ottavo posto in campionato, a un passo dall’Europa League, potesse infine retrocedere in B. Così come non ci si sarebbe mai aspettati che lo scandalo del calcioscommesse e le frodi sportive, stando alle accuse della Procura, potessero mettere le radici proprio all’interno del club etneo. Questa però è un’altra triste storia, che ha sancito anche la fine di quella tra l’ex amministratore delegato e il Catania, precisamente il 29 giugno 2015.

Tutto era iniziato due anni fa: il 20 maggio 2013. Cosentino entra a far parte della società come vicepresidente, col compito di gestire il mercato, di orientare acquisti e cessioni. Ma man mano l’apporto dell’argentino non dà i frutti sperati. Arrivano talenti quali Monzon, Peruzzi, Leto, Plasil, ritenuti i validi sostituti di Gomez, Lodi e Marchese. Il Catania arranca e finisce tra i cadetti. L’anno dopo in B il copione si ripete: Sauro, Escalante, Calello avrebbero dovuto contribuire alla promozione della squadra. E invece i rossazzurri continuano a bazzicare le zone basse della classifica. In entrambi i campionati la rosa dei giocatori rivela lacune colmabili a tempo debito. I tifosi criticano Cosentino. I giornalisti lo stuzzicano. Lui, il 16 febbraio 2015, in conferenza stampa risponde: «Il mercato lo faccio io. Esagerano quei giornalisti che dicono che ho sbagliato a prendere Escalante e a cedere Moretti e Sciacca». Ammette però di aver sottovalutato il problema in difesa, visti anche gli infortuni di Rolin, Spolli e Gyomber. Troppo tardi per i tifosi. Sfiduciati, già alla fine della stagione 2013/2014 imploravano le dimissioni di quello che poi venne promosso da Pulvirenti amministratore delegato. Un anno dopo le richieste non cambiano: via Cosentino per il bene del Catania. Nel corso della stessa stagione si incrina il rapporto tra l’addì e la stampa. La colpa? La volontà di sapere quanto le parole e le gesta dei tifosi potessero portare a una presa di coscienza da parte del dirigente rossazzurro riguardo operato ed errori.

Per non parlare del valzer di allenatori. Ben 7 volte è cambiata la panchina rossazzurra. Ripensamenti su ripensamenti, come l’esonero e il ritorno di Maran, o quello di Pellegrino. A questi si aggiunge il ‘caso Sannino’. L’allenatore di Ottaviano sembrava uno dei pochi capace di infondere carattere alla squadra. Così lo difendeva Cosentino il 7 ottobre 2014: «I risultati? Non è colpa di Sannino. L’unico problema sono gli infortuni». Eppure, quando Sannino alzò la voce lamentando la carenza di giocatori disponibili, fu costretto ad andarsene. Cosentino in quel caso prese le difese del preparatore atletico Ventrone: «Finché ci sarò io, Ventrone resterà. È un lusso». Ma i fatti diedero ragione all’ex tecnico, e la preparazione atletica fu affidata a Massimo Neri.

I risultati non migliorarono, neanche con l’arrivo di nuovi innesti, quasi tutti italiani, al posto dei sudamericani. Così Cosentino, stavolta, se la prese con gli arbitri: «Il direttore di gara ci ha fischiato contro tutta la partita. Sembrava ce l’avesse con noi. Clamoroso. Vogliamo la sicurezza che il campionato sia regolare» (Catania-Crotone 1-1).

E il campionato forse non lo è stato. Ma gli arbitri non hanno alcuna responsabilità. Se le accuse emerse durante l’indagine ‘I treni del gol’ venissero confermate, sarebbe la stessa società etnea ad aver contribuito all’irregolarità di alcune partite. Intanto Cosentino si è dimesso. Non poteva che concludersi così la burrascosa storia tra l’ambiente rossazzurro e l’argentino, fatta di poche idee chiare, tanti passi indietro e nessuna ammissione di colpa. Il finale, però, avrebbe potuto essere meno doloroso.