Catania terrone, Catania vincente?
Parla la storia: da Nicolosi a Rigoli

Azzurra Valenti

L’incontro col Siracusa, domani, sarà la prima puntata della nuova stagione del Calcio Catania. Una campionato in cui puntare sulla sicilianità figura a caratteri cubitali sull’agenda delle priorità di Pietro Lo Monaco. Non a caso l’esperto dirigente di Torre Annunziata ha chiamato Pino Rigoli – messinese di nascita, belpassese di adozione – alla guida del Catania che scenderà in campo la prossima stagione. E gran parte dello staff tecnico, dalle giovanili alla prima squadra, è composto da persone che in Sicilia sono nate e hanno lasciato il cuore. Questione di passione e attaccamento: uniche armi per debellare le difficoltà e le diffidenze degli ultimi anni, e innestare una risalita rapida e indolore. Ma quanti allenatori locali hanno fatto bene in rossazzurro? Quanto essere siciliani è davvero sinonimo di successi roboanti?

Il primo fu Nicolò Nicolosi nel 1947/1948. Nato in provincia di Palermo, a Lercara Friddi, vinse il campionato che servì a essere ammesi nella nuova Serie C con gli etnei. La stagione seguente a causa della scoperta del caso di corruzione che coinvolgeva l’Avellino, fu ribaltato a tavolino il risultato dello spareggio promozione, che vide il Catania approdare in B. Soddisfazioni, ma anche dolorose cadute, invece, sono legate al catanese Carmelo Di Bella nel 1958/1959. I rossazzurri agguantarono la Serie A in extremis, vinsero la Coppa delle Alpi, e sfiorarono l’alta classifica per sei stagioni. Al suo ritorno nel 1971, però, l’ottavo posto tra i cadetti non bastò all’ennesimo salto di qualità. Lo stesso accadde a seguire, fino alle dimissioni. Alti e bassi anche con Salvatore Bianchetti dal 1979 al 1985 alle giovanili rossazzurre. Allenò la prima squadra, da solo, nel 1992/1993. Tracciò un percorso dignitoso, con tanto di vittoria ai danni del Palermo dopo 25 anni.

Non va dimenticato Egizio Rubino, nato in Egitto ma siracusano, con cui il Catania vince due campionati. Tra le esperienze colme di ruzzoloni, invece, quella Giuseppe Caramanno, originario di Piana degli Albanesi, che nel 1991/1992 viene esonerato in terza serie a causa di una serie di risultati negativi. Anche del siracusano Maurizio Pellegrino, offuscati i ricordi. Nel 2002/2003 allena il Catania insieme a Ciccio Graziani, dopo avere l’anno prima guidato il Catania nuovamente in B. I due però vengono sostituiti dopo 12 giornate. Viene richiamato nel 2014, con il compito di salvare i rossazzurri, ultimi in Serie A. Ma l’impresa fallisce. In B non eccelle, e alla seconda sconfitta (in tre gare) viene esonerato. Al suo posto Sannino, che si dimette lasciando spazio al ritrovato Pellegrino. La squadra non decolla. Inevitabile il cambio di guardia. Al polo opposto Pasquale Marino – di Marsala – che al servizio degli etnei ha brillato per due anni, dal 2005 al 2007. Prima il salto in A, poi la permanenza in massima serie, agguantata all’ultima giornata contro il Chievo.

Alla resa dei conti, sicilianità non sempre è garanzia di traguardi raggiunti a pieno titolo. Qualcuno ci è riuscito. Qualcun altro no. Ma in linea di massima, il rispetto per i colori ha sempre avuto il sopravvento. La speranza è dunque questa: che un Catania “terrone” anteponga alla tecnica il cuore. Perché quando l’una viene meno, l’altro può colmare tutte le lacune. A partire dal derby di sabato, contro il Siracusa.