Dalla gioia ai fischi. Agrigento-Catania: 165 chilometri di collera

Redazione

Un popolo intero è partito da Catania, domenica mattina, alla volta di Agrigento. Lo ha fatto per supportare la propria squadra del cuore in quella che, allenatore e calciatori, avevano promesso sarebbe stata la partita del riscatto dalle troppe prestazioni deludenti collezionate in trasferta. L’ottimismo che aveva alleggerito la strada d’andata, incassata l’ennesima sconfitta, per i 600 presenti all’Esseneto si è trasformato in un peso pesantissimo da trasportare lungo la via del ritorno.

La partita contro l’Akragas era cominciata sotto i migliori auspici, per i tifosi del Catania, già cinque giorni prima del fischio d’inizio. Il successo contro il Matera aveva infuso, nell’ambiente, la fiducia che i cambiamenti apportati durante gennaio – al modulo e all’organico – avessero irrobustito la squadra tanto da renderla competitiva oltre ogni immaginazione e oltre ogni limite fino a quel momento mostrato in trasferta. Su questo slancio, i propositi espressi da allenatore e squadra al termine di quel trionfo s’erano spinti oltre la più prudente constatazione dei fatti.

Il settore ospiti dell’Esseneto è pieno come poche volte lo ricordano ad Agrigento. Sono circa 600 i tifosi rossazzurri, tra gruppi organizzati e non, che scelgono di dedicare la propria domenica a trovar la strada più veloce per raggiungere la città agrigentina. Non per una visita ai templi. La meta è lo stadio e l’obiettivo è aiutare la squadra rossazzurra a espugnarlo, a distanza di 74 anni. La fiducia è forte e il settore ospiti si riempie prima di tutti gli altri in cui sono assiepati i tifosi di casa, che paiono sentire la sfida come un vero derby. Lo dimostrano gli sfottò sugli spalti, mentre alcuni episodi isolati, accaduti fuori dallo stadio, vanno bollati come atti di delinquenza.

I gruppi organizzati della curva Sud iniziano a riscaldare l’atmosfera lanciando i cori, che dominano gli spalti. Si comincia col ricordare Ciccio Famoso (ricordato pure dalla curva akragantina con uno striscione, ndr). Poi, quando la squadra sbuca dal sottopassaggio, sono applausi diffusi per tutti. Un incoraggiamento forte, dettato dalla fiducia e dalla speranza di assistere a una prestazione all’altezza dello spirito di sacrificio e dell’attaccamento alla maglia che dimostra la presenza di così tanti tifosi in trasferta. Sembra quasi di essere al Massimino.

Sensazione che viene confortata dai primi quindici minuti di gioco in cui il Catania fa la gara e va in vantaggio. Il boato che accompagna il rigore messo a segno da Mazzarani fa sussultare dalle sedie anche i tifosi che seguono la partita da casa. Poi, il buio. Il settore ospiti non smette di incitare ma la squadra rossazzurra arretra inaspettatamente anziché avanzare e finisce il primo tempo in balia dell’Akragas. La parata di Pisseri su Longo è uno scampato pericolo che fa vacillare l’ottimismo e smuove i primi borbottii verso l’allenatore Pino Rigoli.

Nel secondo tempo la gioia, trasformatasi già in preoccupazione, diventa incredulità e poi rabbia. Seicento o seimila poco sarebbe cambiato, i tifosi rossazzurri all’Esseneto fanno la loro parte, è il Catania che sul campo manca clamorosamente di fare la propria. Raggiunto sul pareggio e poi ribaltato dall’Akragas che fino ad allora aveva vinto una sola gara interna in tutto il torneo. Ma quale voglia di riscattare la sconfitta dell’andata? Ma quale Catania rinforzato? Ma che promesse e premesse di successo? Di fronte c’è il solito Catania formato trasferta.

Alla fine della partita arriva persino la beffa, che poi beffa non è del tutto. In pieno recupero Mazzarani, proprio sotto il settore ospiti, si fa parare il calcio di rigore che avrebbe potuto riportare la partita in pareggio. Un episodio che avrebbe negato la gioia di una meritata vittoria al pubblico di casa e che avrebbe alleggerito le colpe di una squadra, il Catania, apparsa manchevole verso i sacrifici fatti dalla dirigenza, verso il suo stesso potenziale e soprattutto verso i tifosi che con grande fiducia hanno percorso 165 chilometri di strade dissestate per urlare «Forza Catania».

Il ritorno negli spogliatoi finisce così con l’essere una mesta passerella scandita dai fischi. I calciatori del Catania devono sfilare accanto al settore ospiti. Lo fanno a occhi bassi, lanciando solo qualche sguardo verso il loro pubblico che adesso li fischia e contesta soprattutto l’atteggiamento da loro tenuto sul campo, ritenendolo totalmente inadeguato sia alle ambizioni di gloria, sia a un impegno da vincere in trasferta, sia ai sentimenti di riscossa che erano stati attizzati dopo la vittoria sul Matera. E invece, a esultare sono i tifosi akragantini: che bissano la gioia del successo al Massimino, festeggiando nuovamente un’impresa per loro storica. Conclusione peggiore era difficile da immaginare, per i tifosi rossazzurri.

Le bandiere rossazzurre che hanno sventolato ad Agrigento vengono ammainate. Nessun carosello lungo la strada di ritorno. Nessuna festa e niente per cui essere anche solo ottimisti per il futuro. Aver sperato di vedere un nuovo Catania, ed essersi invece ritrovati davanti la solita brutta copia, aumenta l’insoddisfazione, la rabbia, e quel senso di “tradimento” che i tanti insuccessi in trasferta avevano reso abitudinari e quindi persino meglio sopportabili. Invece, stavolta, il peso della sconfitta pesa, eccome, lungo la strada del ritorno: 165 chilometri di collera.

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