Il presidente che ha voluto restare solo. E la responsabilità degli “yes-man”

Marco Di Mauro

Martedì è stato il giorno dell’incredulità e della vergogna. Dopo averci dormito su, per chi c’è riuscito, è arrivata l’alba del giorno della consapevolezza e della rabbia. Il presidente Antonino Pulvirenti è o deve essere, per la giustizia civile e per la stampa, innocente fino al terzo grado di giudizio. Aggiudicato. Ma intercettazioni e accuse della Procura, che paiono schiaccianti, portano almeno a una conseguenza che pare logica. A differenza di quanto è parso negli ultimi due anni, a guidare il Catania, nel bene o nel male, non era Pablo Cosentino o Daniele Delli Carri, era Antonino Pulvirenti. È lui, secondo la Procura di Catania, il magistrato. Nome in codice che suona grottesco, col senno di poi.

È stato Pulvirenti a sostituire Sergio Gasparin e scegliere Pablo Cosentino (indagato anche lui). A seguire, sempre più vicino al Catania, hanno cominciato a comparire e lavorare personaggi mai graditi, almeno ai tifosi. Alessandro Moggi, mai presentato ufficialmente come mai è stato approfondito il suo ruolo nel Catania. Luciano Moggi, spuntato durante una partita al Massimino e accompagnato con larghi sorrisi proprio d Pulvirenti. Cognome, quello di padre e figlio, già associato a uno scandalo calcistico del passato. I tifosi, anche in questo caso, avevano avvertito il presidente del Catania dei rischi che percepivano. Ma lui, Pulvirenti, non li ha ascoltati. Forse non ascoltava nessuno, o forse ascoltava solo chi gli rispondeva sissignore.

Oggi si parla di un presidente “rimasto solo”. Un isolamento che tuttavia, da fuori, è parso voluto. Trincerato a Torre del Grifo, lontano dalla città, da quasi tutta la stampa, con attorno tutti sì e nessuno che dicesse no. L’ultimo a dire no, Giuseppe Sannino, fu buttato fuori, come fatto con alcuni giornalisti e con i tifosi prima. Se avesse avuto accanto un amico con cui confrontarsi e confidarsi,  un amico vero, che sapesse almeno cosa non fare, con un briciolo di coraggio per contraddire “il presidente”, e un po’ di vero amore per il Catania, forse questa storia sarebbe rimasta una paura ingiustificata. Tutti sono innocenti fino al terzo grado di giudizio. Eppure, oggi, la coscienza di molti yes-man non indagati, che si dicono innamorati del Catania, dovrebbe essere a pezzi.