Le ragioni del campo e degli spalti: Lo sfogo degli innocenti

Marco Di Mauro

Da un lato la squadra, dall’altro una parte della tifoseria. Schemi nuovamente contrapposti dopo la pace d’inizio campionato? I tifosi – per esempio quelli della nord – chiedono «audacia» e «vittoria» nella partita contro il Foggia. I giocatori rossazzurri invece, subiscono il gioco dei pugliesi – che dettano le regole alla partita – non rinunciano all’idea della vittoria ma alla fine della partita ottengono un pareggio che sta stretto per le ambizioni che lo avevano accompagnato ma larghissimo per quanto fatto vedere in campo al confronto degli avversari. La squadra di casa rientra negli spogliatoi senza applausi, tra i fischi di alcuni presenti e sul coro della curva Nord che li invita a tirare fuori gli attributi. In sala stampa, Pancaro se ne risente e invita il pubblico a riconoscere i meriti dei calciatori da lui allenati e a sostenere sempre e comunque la formazione.

La squadra di Pancaro è stata messa in piedi in pochi giorni, con tanti svincolati, scarti di altre squadre, nomi sconosciuti e qualche pezzo forte. Non si può dire che abbia potuto programmare una preparazione atletica che la mettesse alla pari delle avversarie. Eppure sul campo ha ottenuto venti punti, che gli varrebbero il secondo posto in classifica. Tolti i nove di penalità – collegati allo scandalo combine, che ha azzerato nelle prime tre partite giocate – ne avrebbe undici, e gli basterebbero per essere fuori dalla zona retrocessione. Ma gli altri due punti che sono stati sottratti alla classifica reale – stavolta per i ritardi in alcuni pagamenti – hanno ributtato i rossazzurri nella mischia che si batte per la salvezza. Lotta dalla quale la formazione etnea era riuscita a venire fuori dopo poche giornate – tanto da immaginare e fare immaginare di potere pensare subito a rincorrere i play-off – ma dove adesso si ritrova quando di partite dall’inizio del campionato ne ha giocate ben dodici, e dopo che nelle ultime quattro non ha centrato nemmeno una vittoria (pur di fronte ad alcune delle formazioni meglio organizzate e lanciate del girone C). L’allenatore – che ad inizio anno dichiarava «non dobbiamo chiedere nulla ai nostri tifosi ma essere capaci di riportarli dalla nostra parte con le prestazioni» – chiede adesso più supporto alla tifoseria, non vuole sentire i fischi e si risente che parte della tifoseria non riconosca i meriti della sua squadra.

Ma come per le rivendicazioni di Pancaro, anche per i fischi – giusti o meno che vengano ritenuti, da chi li ascolta – una spiegazione deve esserci. Vale per ogni spontanea manifestazione dei sentimenti umani. E magari l’episodio in sé – una partita andata come non ci aspettava – è solo la goccia che fa traboccare – per un attimo – un vaso colmato nei tre anni di declino dalla serie A alla Lega Pro. A cui vanno aggiunte troppe sconfitte, nessuna soddisfazione, le illusioni dello slogan #ripartiAmo e di tutte le altre promesse tradite, tre campionati trascorsi in fondo alla classifica, gli scioperi e le manifestazioni di protesta verso una società prima sorda e poi pentita, lo sfregio del caso combine, l’onta della retrocessione in Lega Pro, il menefreghismo e la tracotanza di calciatori e dirigenti del passato, e – certo di scordare qualcosa, nel mazzo di tutto ciò che sarebbe meglio dimenticare ma che è impossibile non bruci ancora – persino l’aumento del prezzo del biglietto della partita proprio contro il Foggia. Una sfida che era stata presentata in maniera diversa – anche in sala stampa -, che aveva dato la speranza di un andazzo diverso, e che – dopo quattro gare senza vittorie e due senza gol – invece è andata nel miglior modo tra i peggiori possibili.

Considerato ciò, che alcuni tifosi sbottino – perché si sentono maltrattati – ci può stare, come la loro richiesta di avere di più di quel che arriva dal campo. Ma ci sta pure che i giocatori e l’allenatore sbottino – perché anch’essi si sentono maltrattati – e chiedano maggiore attenzione nel valutare il proprio lavoro. Di fischi e rivendicazioni va preso atto per poi passare all’analisi delle cause, per scoprire chi dovrebbe essere il destinatario dei fischi e delle rivendicazioni: che riportano in larghissima parte al passato, alle ferite morali e concrete che tanto la tifoseria quanto la squadra hanno dovuto sopportare prima e curare poi, senza alcun aiuto. Il pareggio contro il Foggia pare solo una goccia, che ha fatto traboccare entrambi i vasi, quello degli spalti e quello del campo. Che ha portato allo sfogo “degli innocenti”, che è comprensibile – dall’una e dell’altra parte – e può essere utile se – sbollita la rabbia – verrà reciprocamente capito. Un rapporto affettivo – come quello che lega squadra a tifoseria – non può essere fatto solo di sorrisi. Sono anzi i momenti di tensione – in cui si può anche battibeccare, come stavolta – che mostrano quanto sia saldo il legame, e che allo stesso tempo aiutano a rafforzarlo se c’è unità di intenti, voglia di restare insieme. E crescere, e costruire insieme. Nonostante il terzo incomodo a volte – come il diavolo, che sta pure nello stemma del Foggia – ci metta la coda.