Niente Catania, scende in campo Renzi. Quando la partita fa spazio al partito

Claudio Spagnolo

Capitò pochi anni fa, a pochi metri dallo stadio, che s’incrociassero due flussi di persone. Uno, il più numeroso, andava a vedere una partita di serie A, in cui il Catania ospitava il Torino. L’altro – essendo quel giorno il 5 gennaio 2013 – era lì per l’anniversario dell’assassinio di Pippo Fava. Che quel giorno, per la ventinovesima volta, veniva ricordato proprio nella via che porta allo stadio, alla stessa ora – le cinque del pomeriggio – a cui da sempre viene ricordato. Quel giorno, per un giorno, via Giuseppe Fava – così si chiama la strada in cui fu ucciso il giornalista – tornò a chiamarsi soltanto, come un tempo, via dello Stadio: poiché a nessuno saltò in mente che, per dire, una partita potesse essere rinviata d’un paio d’ore per rispettare quell’ostinato momento di memoria.

Del resto, davvero, perché spostarla? I tifosi che dovevano andare alla partita erano migliaia e migliaia. E il campionato di calcio ha i suoi programmi, perlopiù televisivi. Alla commemorazione sarebbe andato al massimo qualche centinaio di persone. Spostassero loro il ricordo di Fava, se volevano: the show must go on. Successe insomma che nessuno spostò nulla e che i due eventi si incrociarono nello spazio e nel tempo. E in fondo non fu neanche un male: perché chissà a quanti, passando di là per andare alla partita, potrà esser capitato di chiedersi cosa stesse succedendo intorno a quella lapide, cosa volesse dire il nome di quella strada percorsa tante volte senza mai farsi quella domanda.

Da quel giorno, comunque, non sarebbe più capitato nulla di simile. E mica solo per appuntamenti come quello per Pippo Fava, per vicende scritte col sangue nella storia di Catania. Ma anche per eventi che con la storia della città, con tutto il rispetto, non hanno granché a vedere. Per esempio i party che si tengono in questi giorni alla villa Bellini, i cui organizzatori decidono chi fare entrare e chi no. Party che – per ragioni di marketing che ora mi sfuggono – portano il nome un po’ vintage di Festa dell’Unità.

È per tenere uno di questi ricevimenti – con ospite d’onore un noto tifoso della Fiorentina – che domenica prossima i catanesi che pensavano d’andare allo stadio dovranno trovarsi qualcos’altro da fare. Il prefetto ha infatti riflettuto che un dibattito sulla riforma costituzionale non fosse compatibile con una partita di Lega Pro. E ha quindi deciso – senza peraltro indire, sul tema, un referendum tra i tifosi – di dire sì a Renzi e no a Catania-Fondi. In verità, non è che i responsabili dell’ordine pubblico siano in ansia per il rischio che la folla oceanica che straboccherà dal Massimino si scontri con quella costretta a restar fuori dalla Villa: il fatto è che, più semplicemente, occorrerebbe pagare troppi agenti per coprire entrambi gli eventi. Catania-Fondi, insomma, non si giocherà per mancanza di fondi.

E pazienza. Vuol dire che, domenica, i tifosi rossazzurri che non sono intenzionati a rinunciare al clima partita potrebbero ricrearlo alla Villa. I più portati all’ottimismo potrebbero intonare qualche coro ispirato allo slogan referendario scelto dal Pd: «L’Italia che dice Sì». Proporrei, per non scontentare nessuno, una strofetta in rima baciata, del tipo «Sì, Sì, Sì, il Catania in Seriebbì». Mentre i contestatori più irriducibili approfitteranno magari dell’equivalenza metrica tra i quadrisillabi Pulvirenti e Matteorenzi. In modo da rendere lo scenario della festa un po’ più simile a quello del Massimino.

Sarebbe anche un modo per riempire gli spazi, spesso un po’ spopolati, della manifestazione. Sempreché il servizio d’ordine della Villa mostri la stessa sensibilità costituzionale di quello dello stadio. Il quale sarà pure ossessivo nel controllare le bottigliette e un po’ distratto nel lasciare entrare i bengala. Ma, per quanto ne so, non ha mai preventivamente impedito l’esercizio della libertà di parola. Né tenuto fuori dalle porte chi andava allo stadio per fischiare i giocatori o contestare la società.