Riccardo Gaucci: «Pulvirenti non cede. Gli vendemmo il Catania, sano, per 20 milioni»

Fabio Di Stefano

Era l’estate del 2000 quando la famiglia Gaucci acquistava il Catania. Luciano Gaucci arrivò in città tra l’entusiasmo del popolo rossoazzurro, che sognava di ripercorrere la stessa strada del Perugia, la prima squadra dell’imprenditore romano. Big Luciano, che nell’entusiasmo ci sguazzava, si lasciò scappare la promessa della serie A. Immaginate l’apoteosi dei cinquemila tifosi che lo accolsero al palazzetto dello sport di Corso Indipendenza. La poltrona di presidente toccò al figlio Riccardo. Furono quattro anni vissuti in pieno stile Gaucci, tra allenatori cacciati e un continuo viavai di giocatori. La serie B, sfuggita solo nella finale dei play off, venne acciuffata l’anno dopo nella memorabile battaglia di Taranto. Il primo anno di B fu pieno di sofferenze nonostante gli arrivi di calciatori come Oliveira, Bucchi e Possanzini. Il caso-Martinelli, e il successivo braccio di ferro con la Federazione, permisero al Catania di conservare la categoria. Forse quella dura battaglia contro i vertici del calcio, venne pagata a caro prezzo dalla famiglia Gaucci. Nel 2004, dopo una stagione tutto sommato positiva, il Catania passò nelle mani di Pulvirenti.

Abbiamo intervistato, in esclusiva per MondoCatania, l’uomo che condusse i rossoazzurri in serie B dopo un’attesa durata 15 anni. Dai ricordi legati al suo Catania, alla cessione della società, sino al presente, rappresentato dal Floriana, squadra maltese di cui è il presidente: Riccardo Gaucci:

Catania ha rappresentato una tappa importante della sua vita.

«Di quella esperienza ho ricordi bellissimi. Sono stato trattato come un re, e porterò per sempre nel cuore sia la città che la gente di Catania. Si immagini che il primo risultato del campionato italiano che vado a vedere è quello dei rossoazzurri».

Quale è stato il momento più bello della sua presidenza?

«Senza dubbio l’accoglienza dei quindicimila tifosi allo stadio Massimino. Erano le tre del mattino e venivamo dalla battaglia di Taranto, dove conquistammo la serie B. Una gioia indescrivibile, da pelle d’oca. Quel traguardo era il minimo che potessimo fare in una piazza come Catania. Ho ricevuto tantissimo durante i miei anni di presidenza, ma ho anche dato tutto me stesso. Mi fa piacere essere ricordato come colui che ha riportato la città nel calcio che conta».

Ha mai pensato di tornare al Catania?

«Nelle vesti di presidente?».

Certo.

«Chi non verrebbe di corsa a Catania? Per fare bene in un ambiente così ambizioso bisogna però essere ben supportati economicamente, e attualmente non ci sono queste condizioni. Inoltre serve la volontà di cedere dell’attuale proprietà, cosa che al momento non vedo. Secondo me Pulvirenti non ha alcuna intenzione di vendere il Catania. Il patron catanese ha affermato, pochi mesi fa, che i presunti acquirenti non hanno una grande voglia di comprare il club. Quando si ha l’intenzione di cedere, gli acquirenti vanno invece ascoltati».

Quando annunciò la volontà di cedere, Pulvirenti disse che prese il Catania senza nemmeno guardare il bilancio.

«Tengo a precisare, che quando cedemmo il Catania a Pulvirenti, la situazione economica del club era buona. Noi avevamo fissato il prezzo della società in 20 milioni di euro, Pulvirenti si è accollato le tasse rateizzate, per un valore di 6/7 milioni di euro, ed ha pagato parte della cifra da noi richiesta. La parte restante, per volere dello stesso Pulvirenti e di Lo Monaco, è stata pagata con i giocatori passati al Perugia. Non ci fu nessun saccheggio di calciatori, come invece è stato detto. Le dico di più: Pulvirenti e Lo Monaco avevano manifestato l’interesse per il Catania già a dicembre 2003, ma preferirono aspettare, in quanto la Lega aveva bloccato i contributi al Catania per via della vicenda Martinelli. Non appena i contributi furono sbloccati, abbiamo chiuso la trattativa. Conoscevano i bilanci da sei mesi, questa è la verità».

Provo ad insistere. Quando era al Catania, Lo Monaco ha più volte ribadito che solo un pazzo poteva accettare di acquistare il Catania a scatola vuota, senza giocatori e pieno di debiti.

«Forse lo faceva perché nel loro primo anno di gestione i risultati tardavano ad arrivare. Ripeto, la vendita del Catania è stata limpida e trasparente. Ad occuparsene c’erano dieci professionisti da una parte e sette dall’altra. Tra l’altro il nostro commercialista era lo stesso di Pulvirenti. Il giorno prima della cessione furono pagati tutti gli stipendi, i contributi previdenziali, ed era stato raggiunto un accordo per la rateizzazione dell’IRPEF. Il Catania era in perfetta regola ed iscritto al campionato. L’unica discordanza tra le due parti era la valutazione attribuita alla società. La nostra valutazione era più alta rispetto alla loro, per cui hanno deciso di tenere solo due calciatori e lasciare andare via gli altri. Si immagini che, dopo il passaggio di proprietà, Pulvirenti ha fatto i complimenti alla mia famiglia per la gestione del Catania.

Secondo lei Catania è una piazza appetibile per un imprenditore che vuole fare calcio?

«E’ una piazza molto appetibile, sotto tanti punti di vista, ma anche molto difficile da gestire. Per tradizione, per numero di appassionati, per il calore del pubblico, Catania è un ambiente molto stimolante, che trasmette delle sensazioni e delle emozioni che forse nemmeno una piazza come Napoli riesce a dare».

Gaucci, come giudica l’operato di Pulvirenti al Catania?

«Il primo anno è stato disastroso, anche perché dovevano ambientarsi in una realtà che non conoscevano. Dopo, i risultati parlano chiaro, hanno fatto ottime cose. Sin quando i nodi non sono venuti al pettine. Sono sorti i primi problemi, dovuti al fatto che Lo Monaco era inserito in tutti gli ambiti che riguardavano il Catania. Così sono nate le prime incomprensioni e si sono incrinate tutte le certezze che c’erano prima. Infine sono stati ceduti alcuni giocatori importanti ed è arrivata la retrocessione in B».

Nel frattempo però Cosentino aveva preso il posto di Lo Monaco.

«Vero. Ma il primo responsabile di una società rimane sempre il presidente. Se Cosentino è arrivato, significa che qualcuno lo ha messo lì. Se la mia squadra non ottiene i risultati sperati, sono io il principale colpevole, non il dg o il segretario».

E della vicenda Treni del gol che idea si è fatto?

«Queste sono situazioni difficili da commentare, cose che fanno male al calcio. Mi chiedo però come mai sia stato solo il Catania a pagare. Se qualcuno ha comprato le partite, bisogna punire anche chi le ha vendute. Invece, ancora una volta, a pagare è solamente il Catania».

Di battaglie legali lei se ne intende. Il caso Martinelli le dice qualcosa?

«Eccome se mi ricordo. Io e mio padre facemmo una vera e propria guerra alla federazione. Abbiamo difeso il Catania contro tutti e contro tutto. Anche le altre società si schierarono inizialmente contro di noi, salvo poi, alcune di queste, affiancarci per beneficiare del ripescaggio. La mia famiglia pagò un conto salato a causa di quella vicenda. Non so per quali motivi, ma Catania non è una piazza amata nelle stanze che contano».

Presidente Gaucci, vuole salutare i tifosi catanesi?

«Auguro ai tifosi del Catania di rivedere presto la squadra in campionati che le competono. Ho speso tante energie per portare il Catania dalla C alla serie B, so cosa significa, e quello che stanno passando i tifosi in questo momento. In bocca al lupo e forza Catania sempre».