Treni del gol, parte il processo. Accuse solide? Ecco i punti chiave

Marco Di Mauro

nizia oggi il processo Treni del Gol. Si tratta del primo filone del procedimento relativo all’inchiesta sulle combine condotta dalla procura di Catania. A essere stati rinviati a giudizio, come richiesto dal pubblico ministero Alessandro Sorrentino, sono stati tutti gli imputati: Antonino Pulvirenti, Pablo Cosentino, Daniele Delli Carri (rispettivamente presidente, amministratore delegato e direttore sportivo del Calcio Catania, all’epoca dei fatti), Giovanni Impellizzeri, Piero Di Luzio, Fabrizio Milozzi, Fernando Arbotti. Per tutti l’accusa è di associazione a delinquere finalizzata alla truffa. Secondo l’accusa avrebbero combinato sei partite del campionato di serie B 2014/15 per facilitare la salvezza della squadra etnea. Sarà il tribunale di Catania, adesso, a doverli giudicare. Il punto potenzialmente decisivo potrebbe essere l’interpretazione della norma che regola il reato contestato, in relazione agli elementi portati dal pm che sono bastati a ottenere il rinvio a giudizio; ma non è consequenziale che siano sufficienti a portare a una sentenza di condanna.

Per condannare un imputato servono delle prove. Gli elementi portati dall’accusa diventano prove in tutto e per tutto solo in fase di dibattimento, davanti al giudice: è proprio questa la fase che si apre il 22 novembre al tribunale. La formazione della prova, va specificato, passa anche attraverso l’esame di testimoni e indagati che dovrebbero essere chiamati a rispondere sugli elementi accusatori, e quindi pure sul passaggio di denaro che dagli atti non risulta. E che è uno dei punti sui quali si poggia la difesa degli indagati. Si tratta del pagamento di Arbotti – l’intermediario a cui vengono consegnati i soldi per le combine – a quei calciatori che, secondo le intercettazioni, lui stesso sostiene di avere contattato e convinto a combinare le sei gare oggetto del processo. Per l’accusa, infatti, a vendere le partite sarebbero stati proprio alcuni calciatori delle formazioni avversarie. Che però figurano come indagati non in questo, ma nel secondo filone processuale.

Gli elementi raccolti dagli investigatori a sostegno dell’accusa di associazione finalizzata alla truffa, contestata a tutte le persone imputate, sono stati definiti dal pm Alessandro Sorrentino abbastanza solidi «da consentire di essere sostenuti in giudizio». Nel dettaglio, Sorrentino ha fatto riferimento «alla clamorosa evidenza della consumazione del reato, sostenuta dalla prova logica, data dai riscontri sui contatti tra gli indagati, sulle consegne di denaro (100mila euro a partita), sui risultati ottenuti dalla squadra, sui flussi di scommesse registrati». Nelle carte processuali non risulta però, per l’appunto, alcun riscontro telefonico né fotografico della diretta partecipazione dei calciatori avversari, e neppure degli avvenuti pagamenti che per logica sarebbero dovuti finire nelle loro mani.  Gli inquirenti non avrebbero ritenuto necessario questa verifica, basando la loro ricostruzione sulla prova logica, un ragionamento deduttivo: “tre indizi fanno una prova”.

Tesi che è bastata per convincere la giudice Francesca Cercone ad accogliere la richiesta di rinvio a giudizio, per tutti gli imputati, avanzata dal pm. In tal senso, una spiegazione alla strategia dell’accusa e alla decisione della magistrata può arrivare leggendo quanto stabilisce il codice penale. In accordo con le norme che vi sono contenute, anche qualora mancasse la testimonianza del passaggio fisico del denaro tra i soggetti coinvolti, l’ipotesi di reato di truffa sarebbe comunque contestabile. Ciò perché questo particolare reato, per legge, viene ritenuto consumato con la sola volontà dei soggetti coinvolti di raggiungere un accordo finalizzato alla commissione del reato stesso, a maggior ragione se questo – come l’accusa sostiene di avere provato – viene perfezionato. Ovvero gli investigatori avrebbero ritenuto gli elementi raccolti sufficienti – anche senza la prova del pagamento dei calciatori – a dimostrare pienamente la commissione del reato.

Va precisato che, nel processo avviato – e pure a prescindere dai risvolti del secondo filone, ancora in fase di incidente probatorio – il Calcio Catania è sì coinvolto, con l’accusa di avere tratto giovamento dalle condotte imputate ai suoi dirigenti dell’epoca, ma non rischia alcun tipo di penalizzazione in campionato. Lo ha ribadito a MondoCatania pure uno dei legali della Figc. Anzitutto perché in questo caso ci si muove in ambito penale, mentre solo la giustizia sportiva ha il potere di comminare sanzioni che incidono sul regolare svolgimento dei tornei. Tra l’altro, tutti i fatti oggetto dei procedimenti in corso sono già stati acquisiti, valutati e giudicati dalla procura federale, e quindi – a meno che non emergano novità sostanziali, rispetto agli elementi portati in tribunale – non potranno essere richiesti, riguardo alla vicenda Treni del gol, nuovi deferimenti.