«Combine? Si parla di “botte di culo”». Difesa Pulvirenti: «Accuse inconsistenti»

Foto di repertorio (MondoCatania)
Marco Di Mauro

Non ha mai preso in considerazione di suggerire al suo cliente di patteggiare. Ne è sicuro: «L’ipotesi accusatoria è del tutto inconsistente». L’avvocato Giovanni Grasso, che difende Antonino Pulvirenti dall’accusa di associazione a delinquere finalizzata alla truffa, era ottimista prima del rinvio a giudizio a carico del patron del Catania e lo è rimasto a processo iniziato: «Con gli elementi finora portati dall’accusa non è possibile condannare Pulvirenti – spiega a MondoCatania – Basta trovare un giudice che legga con attenzione le carte, e so che al tribunale di Catania ce ne sono». Ieri si è tenuta la prima udienza del processo penale Treni del Golche però è stata rinviata, per alcune ragioni burocratiche, all’11 aprile. Grasso ha fiducia che l’esito sarà diverso dalla sentenza di colpevolezza incassata nel procedimento sportivo. La linea difensiva è già pronta e ha l’obiettivo di smontare punto per punto l’accusa del pubblico ministero Alessandro Sorrentino.

Anzitutto saranno mosse alcune questioni preliminari. La prima sulla determinatezza dell’accusa mossa dal pm al patron del Calcio Catania. «Il capo di imputazione è stato modificato, aggiungendo la dicitura “avere compiuto atti diretti in modo non equivoco a cagionare il reato”, ma non è stato precisato a quali atti ci si riferisce», aggiunge il legale. La seconda questione riguarda gli atti che la difesa ritiene le siano stati «indebitamente sottratti». Nello specifico si tratta di alcune intercettazioni telefoniche che sarebbero state effettuate dagli investigatori e tuttora sarebbero in possesso della sola accusa. «E questo non è legittimo», commenta Grasso. Se queste eccezioni fossero accolte dal presidente del collegio, Roberto Passalacqua, il processo potrebbe tornare indietro, ovvero alla fase preliminare.

Se le eccezioni sulla forma del procedimento non dovessero essere accolte si entrerà nel merito dell’accusa, basata in larga parte sulle intercettazioni e sulla prova logica del coinvolgimento di quei calciatori che avrebbero venduto le partite. «Ma non c’è alcuna intercettazione che dimostri che sia stato offerto denaro, o altra utilità, ai calciatori avversari. In più, riguardo alla partita contro l’Avellino non sono stati individuati nemmeno quelli ai quali sarebbe stato promesso il denaro», dice Grasso. La difesa di Pulvirenti ha già una strategia che punta a demolire i pilastri dell’accusa. «Abbiamo chiesto di ascoltare una serie di calciatori, anche del Catania, per chiedere loro se hanno assistito a degli episodi anomali durante le partite definite truccate». Il punto più delicato, resta però l’interpretazione del codice penale, che ritiene consumato il reato di truffa anche quando a essere dimostrate sono solo le intenzioni dei soggetti coinvolti.

«Finora il solo passaggio di denaro dimostrato è quello ricevuto da Arbotti (100mila euro il costo di ogni combine, secondo l’accusa, ndr) – sostiene Grasso – Ma non c’è alcuna prova che dimostri se quest’ultimo se li è tenuti per sé o li ha effettivamente dati ai calciatori». Per conformare il reato, secondo la difesa di Pulvirenti, sarebbe neccessario testimoniare il pagamento ai calciatori e perciò non basterebbero gli elementi portati dall’accusa. Grasso rivela un elemento nuovo rispetto a quelli discussi in fase preliminare: «Erano state fatte delle intercettazioni telefoniche con alcuni giocatori, nell’ultimo periodo, per le gare con Livorno e Ternana. Ma non è stato trovato alcun riscontro delle combine». Ma se Pulvirenti avesse avuto la sensazione che neanche una combine fosse andata a buon fine, perché Arbotti sarebbe stato interessato per tutt’e sei le gare (Avellino, Latina, Ternana, Varese e Livorno) indicate dagli inquirenti?

«Non c’è prova che siano state combinate, nelle intercettazioni si parla di “botte di culo” – replica Grasso – In alcuni casi, tra l’altro, c’è anzi la prova che Pulvirenti sia stato truffato. Come quando ha dato i soldi a Delli Carri per darli ad Arbotti, ma a quest’ultimo non sono mai arrivati». Ma allora, cos’ha ammesso Pulvirenti davanti ai giudici del tribunale di Catania e della giustizia sportiva? «Ha solo riconosciuto quello che era emerso dalle intercettazioni: di avere dato i soldi. Ma fin dall’inizio ha espresso dei dubbi sul fatto che le partite fossero state truccate. Anzi – specifica Grasso – dopo avere letto le intercettazioni ha detto di avere avuto la conferma che non lo fossero state». I tribunali sportivi lo hanno comunque giudicato colpevole, condannandolo a cinque anni di inibizione. «Se non avesse collaborato, il Catania avrebbe rischiato di trovarsi in serie D – e conclude – Sono fiducioso che il processo penale andrà diversamente».