Genio e lentezza, voli e zavorre: il Catania che potrebbe essere (e ancora non è)

Claudio Spagnolo

Capita a volte alle persone molto intelligenti – a me, per esempio, non capita mai – di dire o fare cose che sembrano un po’ troppo avanti rispetto al proprio tempo. In genere, alla gente che sta loro intorno, queste cose suonano strane, quando non incomprensibili. E quasi sempre accade che – un giorno, un anno, qualche secolo dopo – ci si accorga che, se solo si fosse riuscito a capire subito cosa aveva da dirci uno di quegli uomini lì, avremmo risparmiato a loro e a noi stessi un’infinità di seccature.

Ci pensavo lunedì sera, ammirando la meravigliosa naturalezza con cui Ciccio Lodi, ad occhi praticamente chiusi, dirigeva da par suo l’impacciata orchestra rossazzurra. Gli è bastato un minuto di gioco per dare il colpo di bacchetta definitivo: il pallone recapitato a distanza sulla testa di Tedeschi che ha fruttato al Catania il gol della vittoria. Da allora in poi, però, il gioco di Lodi è stato tutto un predicare nel deserto. Perché è pur vero che, ogni volta che lui toccava palla, dal suo piede partiva la geometria più semplice e impensata che mai si potesse disegnare con un pallone sull’erba. Ma è altrettanto vero che, quando la palla finiva tra i piedi di un compagno, l’aerea bellezza di quella traiettoria precipitava quasi sempre nella pesante materia di cui spesso sembrano fatti i calciatori.

Capitava, per esempio, quando la sfera raggiungeva gli arti inferiori di Di Grazia. Il quale – essendo incappato in una serata che mal si accorda col suo nome – sembrava assorto, ogni volta che ciò accadesse, a meditare astrattamente sulla sfericità del pallone e a recuperare dall’incerta memoria le informazioni necessarie per assumere una postura adatta a calciarlo. Per non dire, poi, di quando la sfera incrociava una qualunque parte del corpo di Ripa: al che il pensiero di tutti fatalmente si volgeva a riflessioni sull’incredibile capacità che alcuni uomini possiedono di apparire più lenti di qualunque essere animato corra loro dietro, ivi compresi bradipi e vaccareddi. O a formulare ipotesi sulla cifra su cui presumibilmente si fermerebbe l’ago di una bilancia, se uno avesse il coraggio di posizionarci sopra l’intero corpaccione del suddetto Ripa.

C’è poco che fare. Il genio, come disse un filosofo dei nostri tempi, è fantasia, intuizione, colpo d’occhio e velocità d’esecuzione. Tutti requisiti che madre natura ha elargito generosamente a Lodi, ma rispetto ai quali i suoi compagni assai spesso non si mostrano all’altezza. Generando in noi tifosi il disagio di dover accudire una squadra che ci racconta costantemente che potrebbe, saprebbe, avrebbe l’occasione. Ma che molto spesso non riesce a tradurre l’opportunità ipotetica nella sicura concretezza di un gol.

È forse qui, in questo miscuglio non ben assortito di genio e lentezza, la zavorra che trattiene il Catania di oggi dal volo che tutti sogniamo. Come se la palla, al piede dei nostri attaccanti, si trasformasse a volte nella sfera di piombo che i forzati trascinano al suolo attaccata alla caviglia. Senza riuscire a librarsi – come invece potrebbe e dovrebbe – nei cieli verdi della nostra fantasia.

Ci resta il genio, però. Imperfettamente amalgamato, in partite come quella di lunedì, non con la proverbiale sregolatezza, ma con accidenti più prosaici come il peso e la lentezza. E però destinato a riproporci, a ogni partita che verrà, l’ostinata speranza di vedere dissolversi questa zavorra. Di vedere finalmente il Catania reale un po’ più simile al Catania possibile. Quello che un Lodi, con la sua incompresa genialità, ci fa tanto spesso sperare e intravedere.