In due anni quasi tutto è cambiato ma niente è migliorato. Che la soluzione stia nel “quasi”?

Duilio Catania

Fonte: Goal.com - Getty

Al Catania manca un rigore, chiarissimo. Nell’occasione, anche un cartellino rosso. Il punteggio era sull’1-1 e, al 17° del secondo tempo, la gara avrebbe anche potuto cambiare volto. Solo che stavolta, a differenza della partita interna contro il Crotone, gli errori dell’arbitro Pasqua passano in secondo piano. Perché al termine della sconfitta contro il Frosinone, la preoccupazione serpeggiante è di potere perdere la categoria, non di avere perso (meritatamente) un’altra partita. La logica è presto spiegata. Le sconfitte possono essere frutto di episodi. Le retrocessioni sono causate da ben altro che un arbitro, una traversa od un gol mancato/beccato al 92°. Sono frutto di problemi decisionali, stagnanti ormai da due anni e certo non risolvibili col quarto esonero della stagione. Semmai, con un profondo ma forse ormai tardivo «mea culpa».

Negli ultimi due anni sono cambiati cinque allenatori, gli undici titolari in campo, il team manager, il preparatore atletico. Non bastasse, è andato via anche il direttore dell’area tecnica, per fare posto ad un nuovo direttore sportivo. Nella gara contro il Frosinone i problemi di sempre sono rimasti, tutti: Infortuni, squalifiche, arbitraggi, astenia in trasferta, condizione atletica da oratorio. Quelli risolti da Sannino sono tornati: poco carisma, assenza di una anche vaga organizzazione di gioco, pubblico inferocito. E se ne sono aggiunti di nuovi: Assenza di alternative in panchina, incapacità di vincere al Massimino, ultimo posto in classifica (ma con una trasferta in meno, evviva!), certezza di avere fallito l’obiettivo stagionale e sincera paura di retrocedere in serie C (“Lega Pro” non suona allo stesso modo).

Da questa situazione come se ne esce? Senza sprecare più parole. Tanto, in due anni, i pareri della stampa, dei tifosi, persino degli “interni” non sono stati ascoltati. Solo chi acconsente viene ascoltato e chi tace, acconsente. Così, le poche e soffici critiche ricevute dalla società, rispetto all’incalcolabile quantità di errori combinati, sono state rigirate come causa stessa del disastro. Gli autori, aggrediti dai cani da guardia mentre ciambellani e lacchè li descrivevano come “il male del Catania”. L’ultimo della lista, Sannino. In un simile contesto, chi decide mostra di mancare di umiltà per accettare la critica e di lucidità per accertare i propri errori. Lo dimostra il fatto che, di tante persone cambiate, in questo disastro, solo quelle che decidono chi e cosa cambiare non sono cambiate.

Continuando così,  tutto potrà pure cambiare ma niente migliorerà. Vedi la categoria, è cambiata eppure la classifica non è migliorata. Ultimi in serie A come in serie B. Perciò, anche se Ventrone andasse via, vuoi perché stufo degli insulti o perché valutato obiettivamente dalla società, a scegliere il sostituto sarà la stessa testa che ha scelto Ventrone. Quella stessa che ha segato Petralia nonostante il buon lavoro svolto in prima squadra nelle ultime sette giornate della passata stagione. Allora il Catania rischiò di salvarsi. Magari, stavolta ci riuscirà. Ma il futuro non darà garanzie di potere essere migliore del presente. Almeno finché chi sceglie non capirà di dovere fare «mea culpa» prima che la stagione sia già compromessa o altrimenti farsi da parte, subito. Ne va della sopravvivenza del Catania od almeno di un epilogo decoroso.