I Mondiali senza l’Italia? Poco male: tanto quest’anno non andiamo in A

Claudio Spagnolo

Ma quanto tempo è, adesso, che non facciamo una festa? Una di quelle feste con i caroselli per le strade, e via Etnea che si riempie di bandiere, e il prato del Massimino che per una volta si concede ai nostri passi, e quei brandelli di felicità – una maglia, un pezzetto di rete sforbiciato dalla porta, un ciuffo d’erba strappato dal campo – da conservare per sempre nell’album dei ricordi? È un bel pezzo, davvero: da quando ci manca una promozione, o almeno una salvezza inseguita con ostinazione e raggiunta solo all’ultimo secondo. Da quando le pagine di storia rossazzurra si son chiuse su se stesse, da quando il nostro Catania ha smesso di scriverle. Da troppo tempo, davvero. Sarebbe ora di ricominciare.

Una volta, certo, si poteva far festa anche per la Nazionale. Come fu nell’82, l’anno dei Mondiali di Spagna, dell’urlo di Tardelli, dei tre gol alla Germania – Germania Ovest, dovevamo specificare, perché la geografia del mondo di allora era ben diversa da quella di oggi – e di quell’indicibile vittoria contro il Brasile che ci proiettò contro ogni previsione verso la finale del Bernabeu. Fu l’antipasto di un lunghissimo banchetto di felicità calcistica, che durò addirittura un anno intero. Perché mi ricordo bene che si iniziò a far festa per strada, proprio la sera di Italia-Germania. E si finì solo nell’83, all’Olimpico di Roma, quando superammo in volata la Cremonese di Mondonico. E vedemmo aprirsi – sia pure, quella volta, per poco tempo – le porte della serie A.

Altre volte, è vero, la festa è durata un po’ di meno. E alla Nazionale è toccato fare da dessert, forse perfino rinunciabile, di una scorpacciata di gioia cominciata al Massimino. Quella volta – era il 2006 – che un gol di Del Core ci regalò la vittoria sull’Albinoleffe (e di nuovo, sulla panchina dei nostri avversari, c’era Mondonico), all’Italia non restò che vincere di nuovo i mondiali, questa volta a Berlino. E pazienza se poi, quella Nazionale, non si poteva più amarla con il trasporto di un tempo. Per una lunga serie di ragioni che cominciano, per noi, almeno nel ’93. E si prolungano nel tempo, fino agli scandali di Calciopoli, scoperti pochi mesi appena prima di quei mondiali.

Non è dunque un gran danno, alla fin fine, che ai mondiali che stanno per cominciare l’Italia non ci sia. Giacché, non essendo al momento all’ordine del giorno una promozione del Catania in serie A, non ci sarebbe stata la minima possibilità che gli azzurri ne uscissero vincendo qualcosa. E anche perché dal nostro digiuno di felicità, che si prolunga ormai da troppi anni, ci basterebbe venir fuori con una dose di soddisfazione decisamente più modesta di quelle delle feste che abbiamo appena ricordato. Ci basterebbe uscire con l’onesta sazietà di una promozione in serie B. Che non sarebbe, poi, nulla più che una restituzione di quanto, a tradimento, ci è stato portato via. Ma ci basterebbe, comunque, per tornare a srotolare le bandiere.

Perché è da troppo che non succede. Ed è strano starsene qui, affacciati alla finestra dei play off, a osservare pigramente gli altri che si contendono l’occasione di incrociarci da avversari. Guardando a una sola data, il 16 giugno, nella speranza di poterci essere noi, in campo, quel giorno. E di portare con noi, quest’anno, almeno una piccola storia da raccontare. Lasciando scorrere le immagini di un mondiale che ha davvero poco da dirci. E casomai sbirciando, nel frattempo, quel che succede in serie B. L’unico posto in cui quest’anno ci importa qualcosa di arrivare. E nel quale peraltro non è escluso – stando, almeno ai risultati delle ultime giornate – che i cugini di Palermo stiano amabilmente meditando di restare ad aspettarci.