Un computer, un palo, una Sibilla: l’involontaria poesia dei telecronisti in serie C

Claudio Spagnolo

Il giorno in cui ce ne andremo da questa serie C, tra le cose che ricorderemo di essa – e che probabilmente ricorderemo con un misto di sgomento e strana nostalgia – ci saranno certamente le improbabili telecronache che in questi anni, vuoi o non vuoi, ci hanno accompagnato dagli altoparlanti dei nostri computer. Telecronache traballanti, fisiologicamente trasmesse in lieve differita, spessissimo interrotte da ansiogene cadute di connessione. Ma sempre sorrette, oltre che dall’eroico sforzo di rendere avvincenti partite che per loro natura non lo sono granché, anche da una sorprendente, a volte involontaria, inventiva linguistica.

Una volta, durante una partita del Catania, ho ad esempio appreso dal cronista che Lucarelli stava chiedendosi che voltaggio volesse alla lampadina Lodi. Bellissimo e assai ricercato, non c’è che dire, qualunque cosa poi significasse. Un altro telecronista, un’altra volta, un po’ più avventatamente, lodò la prestazione di Biagianti – indicato come migliore in campo – indirizzandogli un enfatico, latineggiante ma inappropriato pollice verso. Noncurante del fatto che il gesto del pollice verso, al tempo dei Romani, venisse in genere utilizzato per decretare a furor di popolo la condanna di un gladiatore sconfitto.

Recentemente, durante una trasferta rossazzurra non troppo spettacolare, ho avuto modo di consolarmi della noia del poco gioco apprendendo dal telecronista – già segnalatosi per aver ribattezzato Pissèri il nostro portiere Pìsseri – che il colpo di testa di un nostro giocatore aveva, nientemeno, sibillato il palo. Proprio così, sibillato, con la doppia L nel verbo e con il palo complemento oggetto. Il che esclude che la palla avesse solo sibilato vicino al palo, ossia lo avesse sfiorato producendo in prossimità dello stesso un suono vagamente simile a un fischio. E non ci autorizza nemmeno a ipotizzare che la palla avesse sobillato il palo, sia per la irrevocabile mancanza della necessaria O al posto della I, sia per l’oggettiva infondatezza dell’ipotesi che un palo, essere inanimato per eccellenza, riesca ad assumere caratteristiche antropomorfe così articolate e complesse da potersi, addirittura, lasciare sobillare da qualcosa.

No, c’è poco da fare. Quel palo era stato oggetto dell’azione del sibillare, verbo transitivo che lo Zingarelli non registra. E che a me, dopo lunga riflessione, mentre il gioco ristagnava a centrocampo, ha fatto venire in mente le Sibille, le profetesse di Apollo ritratte da Michelangelo sulla volta della Cappella Sistina. La più illustre e decrepita delle quali – con residenza anagrafica a Cuma, Campania – aveva un modo alquanto singolare di rendere i suoi responsi. Li scriveva infatti sulle foglie e poi metteva in ordine queste ultime, allineandole una accanto all’altra, e custodendole ben chiuse in un suo antro. Senoché, per poter conoscere qualcosa circa le suddette profezie, era evidentemente necessario aprire l’entrata dell’antro e lasciarvi entrare, purtroppo, anche il vento. Il quale faceva volare via le foglie e le scompigliava irrimediabilmente, prima ancora che qualcuno riuscisse a leggere quel che c’era scritto sopra.

Chissà che quel pallone che ha sibillato il palo fosse proprio l’emissario di qualche sibillina profezia. Volesse dirci qualcosa sul futuro del Catania in questo ancora indecifrabile campionato. In cui ci appressiamo ad ogni giornata con la speranza di trarne finalmente i più luminosi auspici di un futuro migliore, complice magari un fausto e sempre auspicato passo falso del Lecce. Ma in cui continuiamo ad uscire, da ogni giornata, con le nostre speranze rinviate a migliore occasione. Con i nostri desideri scompigliati, incerti, confusi, come le foglie al vento nell’antro della Sibilla.

E tutto per un pallone che aveva, semplicemente, banalmente, sfiorato un palo. L’involontaria poesia del calcio, ai tempi di questa serie C.