Il Catania che nessuno ha fotografato: una squadra che vorrebbe ma non può

Foto: calciocatania.it
Claudio Spagnolo

In molte delle foto che lo ritraggono, Pino Rigoli sembra un allenatore con le idee molto chiare. Veste con eleganza naturale, sia che indossi il completo blu con cui spesso siede in panchina, sia che abbia solo la maglia rossa da allenamento. E soprattutto sembra sempre guardare verso qualcosa di preciso: un punto, un traguardo sul quale indirizza l’indice della mano destra. In modo da far capire agli altri dove bisogna arrivare e come bisogna arrivarci. Non si richiede da meno, del resto, dall’uomo che deve guidare la squadra. Che deve segnarle la strada per uscire dal girone d’inferno della serie C.

C’è una foto, però – una foto che nessuno ha scattato – che racconta un Rigoli diverso, e forse più vero. In questa foto l’allenatore del Catania, dopo un’azione strampalata tentata dai suoi uomini sul campo, allarga le braccia in segno di rassegnazione. Sul campo, i suoi giocatori non sembrano più credere di poter aver la meglio su un avversario rognoso come la Fidelis Andra. E stavolta il condottiero si lascia sfuggire, in un gesto, la confessione di non sapere neanche lui che pesci pugliare. Di non avere mai avuto l’idea vincente per raddrizzare questa partita. E dunque l’ammissione che l’impotenza dei giocatori in campo è, almeno stavolta, la sua stessa impotenza.

L’ultima partita del 2016 l’ha raccontata questa impotenza per buoni novantacinque minuti. L’ha raccontata con il gioco del Catania, un gioco che per gran parte della gara ha ripetuto il medesimo schema: il mediano Scoppa prende la palla vicino alla propria area, cerca di capire con lo sguardo dove è finito Russotto, prova a recapitargli un pallone lungo e preciso e poi spera che Russotto – il quale, volendo, con il pallone ci sa fare – si inventi lui qualcosa di buono. Uno schema che ha rischiato di dare frutto a inizio partita, ma che poi, ripetuto per la terza, quarta o quinta volta è diventato prevedibile, scontato. Uno schema che comunque è troppo poco per poter dire che il Catania abbia un’anima, un gioco, un’alchimia. Qualcosa che gli consenta di scardinare le difese avversarie senza dipendere troppo da episodi fortunati o da qualche lampo di talento solitario.

È andata spesso così, questa prima parte di stagione. Almeno al Massimino. Dove, con rare eccezioni, è stato il talento di un singolo o un fortunato lancio di dadi a sbloccare partite che altrimenti sarebbe stato difficile vincere. Diversamente è andata, invece, lontano da Catania. Dove i giocatori rossazzurri spesso non hanno saputo far altro che allargare le braccia di fronte ad avversari magari più scarsi, ma convinti e cattivi quanto basta per arrivare al loro obiettivo. Il giorno del ritorno al lavoro, dopo le ferie d’inizio anno, il Catania che si ritrova oggi a Torre del Grifo non ha niente di più di quello che ha concluso l’anno. Se non qualche etto di panettone da smaltire in fretta.

È una squadra dignitosa, certo, quella allenata da Rigoli. Ma una squadra dignitosa è ancora poco, rispetto agli obiettivi che il Catania dovrebbe avere. Perciò non riusciamo ancora a riconoscerla, questa squadra, in nessuna delle volitive foto di Rigoli che conosciamo. È una squadra che più volte, nel momento in cui ha voluto e avrebbe dovuto raggiungere le quote più alte della classifica, ha allargato le braccia per levarsi da terra ma si è accorta di non essere proprio capace di volare. E alla fine sono state le stesse braccia, anche quelle dei tifosi e del tecnico, a cadere per terra.  Per questo, l’immagine di questa squadra la rivediamo molto di più in quell’altra foto che nessuno ha scattato.