Giovanni Bertini, stopper goleador: ricordi rossazzurri da un ospedale

Redazione

Giovanni Bertini, cosa la lega ancora a Catania e al Catania?

La risposta arriva da una sedia a rotelle. Da mesi l’ex stopper del Catania (ha giocato in rossazzurro tra 1976 e il 1980) deve combattere con una malattia neuromuscolare. Chiede, attraverso Mondocatania, il sostegno concreto dei tifosi che ancora si ricordano di lui. Adesso ha i capelli bianchi, i baffoni spioventi che gli davano un aspetto temibile perfino sulle figurine – figuriamoci in campo – non ci sono più. Ma, dietro l’incrinatura della sua voce, le parole sono sempre quelle di un combattente. Ieri in campo, oggi nella vita.

«Catania è la mia città di adozione, la mia seconda città dopo Roma. A Catania mi lega anzitutto il fatto che qui è stata concepita mia figlia. E al Catania mi lega il fatto di esser stato cinque anni in una città molto bella, con degli amici carissimi. Anche se, certo, calcisticamente non è stata la panacea.

A Catania ha segnato più che altrove: sette gol, che non sono pochi per un difensore. Come mai?

«Quando io giocavo in serie A c’erano giocatori più bravi. Ma io avevo un grosso calcio sia di destro che di sinistro, e di testa ero imbattibile. A Catania gli allenatori avevano capito che potevo fare gol su punizione. Ero uno che calciava con molta potenza e di conseguenza i portieri non vedevano neanche avvicinare il pallone, perché già stava dentro».

La sua carriera in rossazzurro è fatta anche di ricordi amari. Nel 1977 il Catania perse contro il Brescia e retrocesse in serie B. Una pagina sulla quale resta l’ombra del calcioscommesse. Come la ricorda?

«Quattro miei compagni credo si vendettero la partita. E non quella partita solamente a Brescia, credo che se la siano venduta anche a Como. Dato che sono passati tanti anni, i tifosi del Catania devono sapere che quella retrocessione non è stata dettata né da me né da Barlassina né da Morra, ma da qualche altro giocatore. Non dico i nomi, perché ormai sono passati troppi anni. Nel girone d’andata eravamo quarti o quinti, con la squadra che avevamo non potevamo retrocedere. Solo che c’era qualcuno che s’è venduto le partite. Quella è stata la mia tomba calcistica, perché dopo anni di serie B siamo finiti in serie C. Io non ero un giocatore di serie C. Come tanti miei compagni meritavo di giocare in B».

Un’altra annata amara fu il 1979, quando il Catania duellò con il Pisa per la promozione e la vide sfumare a fine stagione. A Pisa il Catania fu accolto malamente e perse per due a uno. Che ricordo le è rimasto di quella partita?

«Ricordare le sconfitte è sempre difficile. Noi andammo a Pisa decisi a risalire, ma il Pisa aveva un presidente, Anconetani, che era molto ammanicato in Lega».

Poi arrivò la promozione, conquistata in trasferta a Reggio Calabria nel 1980.

«Andammo a Reggio e vincemmo uno a zero, facemmo una prestazione maiuscola e salimmo per merito. Salimmo perché eravamo bravi e meritavamo di giocare in categorie superiori».

Era il Catania di Massimino. Cosa ricorda di lui?

«Ricordo che era un gran casinista. Era uno che amava la squadra, ma più ancora amava se stesso. Massimino magari lo incontravi da solo ed era una persona squisita, lo incontravi in compagnia e non sembrava più lui».

Lei si definisce un animale calcistico. Cosa intende?

«Nel campionato in cui giocavo, una serie C che in realtà era era una B ad altissimo livello, ero un giocatore fortissimo, fisicamente una bestia. Gli avversari mi temevano solo a vedermi».

In quegli anni lei era il leader dello spogliatoio nonostante non fosse catanese. Quali erano i suoi rapporti con la tifoseria?

«Mi amavano tutti. Mi ricordo che un giorno, l’anno che scendemmo dalla B alla C, andammo in ritiro a Zafferana e quando tornammo il pubblico, inferocito, ce l’aveva con Massimino. Io mi fermai e dissi “ma che volete da noi, stiamo lavorando, stiamo lottando”… A quel punto pensai “mo’ mi giro, magari mi sparano diecimila pallottole”… Invece, girandomi, ho sentito lo scrosciare del pubblico catanese. Tutti avevano capito che io amavo loro come loro amavano me».

Per finire, un augurio…

«Auguro al Catania una pronta guarigione dalla situazione in cui si trova, e a Bertini di uscire presto dall’ospedale».