Un bersaglio ogni giorno più piccolo: la strana via rossazzurra verso l’infinito

Giandomenico Ricci - Flickr
Claudio Spagnolo

È noto – lo diceva anche Leopardi – che se l’uomo non si sente felice è, in fondo, per colpa dei suoi desideri. Ha un cavallo, ma ne vuole uno più bello e veloce. Ha una soddisfazione che dura un po’, ma lui vorrebbe che non finisse mai. Corre per tutta la vita lungo il confine del finito, e aspira incessantemente all’infinito. Insomma, la fregatura sta lì: nel desiderio. Se imparassimo a liberarcene, magari, ce la passeremmo molto meglio.

E forse, noi, siamo sulla buona strada. Ormai abbiamo tanto bene appreso a convivere con la nostra finitezza che non solo ci accontentiamo dei nostri limiti, ma ne stabiliamo sempre di nuovi. Quando è cominciato il campionato, c’era pure chi sperava che l’umiliazione di stare in serie C potesse essere risarcita dal primo posto. Obiettivo che appariva anche possibile a condizione che, dei punti di penalizzazione dovuti all’affare Castro, potesse sparire ogni traccia per via di un ricorso. Che si è poi rivelato un’illusione.

Tramontata questa ipotesi, abbiamo accettato l’idea che di primo posto, magari, non fosse il caso di parlare. Ma entrare nei play off dalla porta principale, ossia arrivarci dalla parte alta della classifica, e quindi giocare gli spareggi da posizione di vantaggio, sembrava certamente – ancora in piena gestione Rigoli – un obiettivo alla nostra portata. Un obiettivo che ci permetteva di accontentarci del quinto posto. Un obiettivo anche questo realizzabile se, giocando in serie C, hai la fortuna di chiamarti Catania.

Poi ci si è fatti due conti e si è capito che, quasi quasi, più che al quinto posto era meglio mirare al sesto. Che ci avrebbe sperabilmente offerto l’occasione di affrontare avversari sufficientemente scarsi senza cominciare gli spareggi da trasferte troppo difficili. E dunque avrebbe avuto tutti i vantaggi di un quinto posto, comportando peraltro qualche sforzo in meno.

È passata qualche settimana, un nuovo allenatore si è seduto sulla panchina per alzarsene subito, un altro ci si è accomodato senza saper bene per quanto dovrà rimanerci, e nel frattempo gli obiettivi sono retrocessi di un altro po’. Adesso, per dirci fortunati, dovrebbe bastarci arrivare ai play-off. Comunque sia, con qualunque punteggio, in qualunque posizione, anche all’ultimo istante dell’ultima giornata. Purché ci si arrivi, così, quasi senza un perché.

Va bene: cinque anni fa, di questi tempi, stavamo lanciando una rincorsa che, se non ci ha portato in Europa, ci ha permesso almeno di chiudere il campionato davanti all’Inter. Ma voltarsi indietro al passato, lasciare corso alla nostalgia, domandarsi se in futuro – permanendo questa proprietà – avremo i soldi per iscriverci al campionato, è il modo più sicuro per rendersi infelici. Forse ci converrebbe non farci troppe domande e continuare a credere in qualcosa, per quanto breve ne sia il respiro. Lasciando che – dato che ci manca la forza di mirare a nuovi obiettivi – siano gli obiettivi ad avvicinarsi a noi. Cosa perfettamente possibile, se accettassimo di vederli rimpicciolirsi ogni giorno di più. In fondo, correre all’infinito non è così difficile, se solo si accetta di procedere verso il peggio: al quale, come  è noto, non c’è mai fine.

A veder giocare il Catania, di questi tempi, vien da pensare che i nostri giocatori abbiano già raggiunto questa perfetta saggezza, questo nirvanico annullamento di ogni volontà. Restiamo noi, tifosi infelici. Ancora ostinati a sventolare quei colori che, a giudicare dal campo, pare stiano a cuore soltanto a noi.