Quando l’orologio torna indietro: Lucarelli, i play off e il passato da cancellare

Foto: renagrisa (Flickr.com)
Claudio Spagnolo

Magari si potesse scegliere, della notte d’autunno in cui torna l’ora solare, il momento esatto in cui l’orologio va riportato indietro. E magari si potesse portare indietro, con quel giro di lancette, anche tutto il tempo che c’è chiuso dentro. Cancellando le fesserie fatte in quell’ora e regalandosi la possibilità di provare a viverla di nuovo, e meglio. Magari. Se avessi questo potere, sceglierei di riavvolgere quell’ora insulsa che contiene il novantacinquesimo minuto di Reggina-Catania: l’ora all’interno della quale un tale Andrea Bianchimano ha fatto fessa per la seconda volta la nostra altrimenti celebrata difesa, permettendosi di arrivare solo solo da fuori area, di puntare sullo spazio vuoto lasciato al centro da due nostri difensori e di tirare infine una specie di rigore nella porta dell’innocente Pisseri. Il tutto appena qualche istante prima che l’arbitro fischiasse la fine della partita.

E riavvolgerei, insieme con quel gol, l’intero secondo tempo della partita. Quello in cui la nostra squadra si è seduta nella sua metà campo, pur essendo reduce da da una prima frazione incoraggiante e perfino bella da vedere, e in cui avrebbe potuto fare tre o quattro gol. Gol che non è riuscita a segnare un po’ per demerito dei suoi attaccanti, un po’ per colpa del destino cinico e baro: incarnatosi ieri sera non tanto nel metafisico influsso delle cucche, quanto nell’impudente, fisica sveltezza di un giovane portiere di nome Cucchietti. Si è comunque seduta la nostra squadra, dopo l’intervallo, ad aspettare non so che cosa. Forse che la Reggina, essendo compagine sulla carta più scarsa, si facesse gol da sola. Forse che la partita scivolasse via verso il pareggio: come se giocare per il pareggio avesse un senso, in un campionato in cui vince soltanto chi vince tutto. E a chi arriva secondo viene semplicemente regalato un biglietto per la disperata lotteria che eufemisticamente chiamano play off.

Ma riavvolgerei, soprattutto, le parole dette da Lucarelli alla fine della partita. Quando il nostro allenatore – uomo di campo di lungo corso, combattente nato di quella guerra metaforica che da sempre è il calcio, e soprattutto leader di un gruppo in cui al tempo stesso sono tutti titolari e nessuno è titolare – non solo è apparso in difficoltà a spiegare perché se ne è rimasto a guardare la metamorfosi della sua squadra operando nel secondo tempo due cambi innocui e tardivi. Ma ci ha anche detto che, in fondo in fondo, perfino i play off potrebbero essere un risultato apprezzabile. Anche perché l’anno scorso i play off li ha fatti pure il Parma, non so se mi spiego.

Parole che, per quel che vale il mio parere, avrei preferito non sentire. Parole che – non essendo purtroppo possibile riavvolgerle indietro con un giro di lancette – spero almeno possano essere cancellate dalle prossime prestazioni dei rossazzurri. Anche perché, se così non fosse, comincerebbe a prender corpo la paura che il tempo possa veramente tornare indietro. Ma non di un’ora, come ci sarebbe piaciuto: bensì di uno o due anni. Gli anni calcistici di questa umiliante serie C, che ci hanno purtroppo abituato a veder sfiorire, con il volgere delle stagioni, tutte le speranze e gli obiettivi che ne avevano accompagnato il nascere. Facendoci passare dall’estate gravida di promesse, all’autunno della perplessità, fino al lungo inverno dello scontento. Un inverno che molti, dopo le ultime due partite, hanno già paura che stia tornando.

Bisogna invece portarle avanti – e sono convinto che Lucarelli lo sappia – le lancette della nostra storia. Cancellando sul campo gli anni inutili e rassegnati dai quali veniamo. Lasciandoci alle spalle gli sbagli – sempre gli stessi – che ogni volta sono tornati a gelare il nostro timido entusiasmo. Restituendoci la certezza che, dopo ogni inverno, debba venire una primavera. E regalandoci coi fatti la concreta convinzione che quest’anno riusciremo a godercela. Come c’era parso di poter credere, fino a otto giorni fa, quando non erano ancora cadute a terra le prime foglie di quest’autunno. Come vorremmo tornare a poter sperare. Da subito, però: perché in realtà il tempo vola, e non è detto che il Lecce non faccia altrettanto.