Gli scettici, i prudenti e le cucche: fenomenologia del tifo in una città disillusa

Claudio Spagnolo

In molti notano – e non è notazione banale – che i sei gol del Catania alla Paganese, finalmente accompagnati dalla concomitante sconfitta del Lecce, non hanno poi suscitato in città tutto quel grande entusiasmo che in passato, in situazioni analoghe, si sarebbe magari acceso. E sono in tanti a chiedersi – non è banale neanche questa domanda – come mai questo accada, oggi, quando mancano sei sole giornate dalla fine del campionato.

Forse, a rendere la domanda non banale, c’è anche il fatto che a essa si possono dare diverse risposte. E che – messa da parte la consistente percentuale di ottimisti di cui la nostra tifoseria è sempre stata ricca – il resto del mondo può dividersi in varie categorie. Perlomeno tre.

Ci sono, in primo luogo, gli scettici. Quelli che, dopo il tradimento dei treni del gol (se non già dai tempi della masochistica ostinazione su Pablo Cosentino) non sono più disposti a credere che gli interessi di questa società possano, sia pur temporaneamente, sposarsi con i loro. E quindi escludono del tutto – spesso adducendo motivazioni plausibili, per esempio il non troppo pirotecnico calciomercato di gennaio – che alla società possa mai importare qualcosa di riportare la squadra in B. A fondare il loro scetticismo, in effetti, c’è lo sconfortante ricordo degli ultimi tristissimi quattro anni. E la convinzione che il Catania non sia più che la pedina di un gioco finanziario, cominciato anni fa con il fallimento di Wind Jet e destinato a protrarsi ancora per chi sa quanto.

Ci sono, poi, i prudenti. I quali a volte sono solo degli scettici che dubitano del loro stesso scetticismo. E dunque non escludono che perfino in presenza di questa proprietà – o per via di un astuto calcolo della stessa, o magari come viatico all’auspicabile vendita del club – la città si veda restituita una parte almeno di ciò che le è stato strappato. E che il Catania torni là dove si trovava prima del disastro ferroviario che sappiamo. I prudenti, tuttavia, non si  scaldano troppo alla fiamma della speranza. Perché hanno sotto gli occhi i punti deboli della squadra. Perché si sono scottati troppe volte, in questi mesi, nella vana attesa di un avvicinamento al Lecce. O perché, oltre che prudenti, sono pure scaramantici. E non sanno declinare la loro speranza se non in forma indiretta o negativa, velandola di uno scetticismo superiore a quel che detterebbe loro il cuore. Toccando ferro e altri metalli umani ogni qualvolta qualcuno si avventuri in pronostici di incauto ottimismo.

Poi ci sono quelli che potremmo chiamare cucche. Termine che, come è noto, prendiamo a prestito dal limpido toscano di Marco Biagianti. Sono quelli che sembrano più contenti di pontificare su una sconfitta che di festeggiare una vittoria. Non è detto, intendiamoci, che tutte le cucche siano davvero cucche: anche uno scettico molto arrabbiato con la società, oppure un prudente divenuto ostaggio della propria scaramanzia, rischiano continuamente di esser presi per cucche. Le cucche, tuttavia, si distinguono dalle altre categorie per la assoluta rigidità delle loro convinzioni.

Se, per esempio, una cucca ha chiesto una volta l’esonero dell’allenatore – non importa se perché lo considera scarso, o perché parla assai, o perché è di Livorno e gli piace Che Guevara – continuerà imperterrita a chiederlo fino all’ultima giornata, senza manco preoccuparsi di chi dovrebbe sostituirlo. E senza riconoscere che, per acerbo che sia, per quante partite possa aver sbagliato, Lucarelli ha anche restituito alla squadra l’arte perduta del vincere in trasferta. Nonché forse – ma di ciò aspettiamo prudentemente la riprova – un gruppo mantenutosi coeso a dispetto della scoppola di Monopoli e una condizione atletica più che decente nel decisivo momento della primavera. Cosa, quest’ultima, che non succedeva da prima della sciagurata era Ventrone.

Detto ciò, è un fatto che la maledizione del sette si sia domenica scorsa interrotta, e che il Lecce sia oggi un pochino più vicino. Così come è un fatto che il Trapani – che abbiamo a lungo guardato dall’alto in basso – ci sopravanza ora in classifica per il gioco degli scontri diretti. La fiamma della speranza è sempre lì, ancora accesa. Capace di proiettarci in faccia la vampata di un’insperata rincorsa alla prima posizione, o di trasmetterci da lontano la tiepida prospettiva dei play off.

Ognuno, naturalmente, sceglierà da sé a che distanza stare per scaldarcisi almeno un po’.