Il carro, i buoi e il Calcio Catania. Solito copione anche l’anno prossimo?

Claudio Spagnolo

T’amo pio bove, recita una vecchia poesia. Di quelle si mandano a memoria da piccoli per poi ricordarsene ben che vada qualche parola, e senza che quasi mai ce ne sia chiaro il senso. Ammesso poi che possa avere un senso – e quale? – dichiarare il proprio amore a un animale lento, decisamente poco incline al romanticismo e che incarna peraltro, a dirla tutta, la quintessenza dell’esser cornuto.

Eppure i motivi per apprezzare il bue non mancherebbero. Come sa chi ha la fortuna di disporre di un paio di esemplari del suddetto animale, e li può utilizzare in coppia facendo far loro ciò che meglio i buoi sanno fare: trainare i carri collocandosi innanzi agli stessi. Uno schieramento tattico, questo, assai più efficace di quello contrario, purtroppo assai in uso dalle nostre parti: che vuole invece che si insista a mettere sempre il carro davanti ai buoi. Con i tristi risultati che registriamo ormai da diverso tempo.

Non si disse, all’inizio della passata stagione, che il Catania era una squadra da primato, che avevamo un organico di lusso per la categoria, che soltanto noi potevamo, per dirla in metafora, permetterci di sparare alle mosche con i cannoni? Poi purtroppo ci si è resi conto che s’era parlato troppo in fretta e che la faccenda di Castro, in principio valutata con ottimistica leggerezza, era molto più seria di quanto si credesse. Sicché le ambizioni più ottimistiche dovettero finire nel cassetto.

In seguito, tuttavia, abbiamo cominciato a puntare fiduciosamente ai play off per poterceli giocare da protagonisti. E molti di noi, vedendo Ciccio Lodi aggirarsi per Torre del Grifo, hanno cominciato a sognare che le sue geometrie e i suoi calci piazzati potessero da subito aiutarci a risalire la classifica. Senonché Lodi, intrappolato nei meccanismi del calciomercato, ha finito per non giocare né con il Catania né con nessun’altra squadra. Con scorno di chi aveva anche stavolta messo il carro davanti ai buoi.

Avevamo fiducia, cionondimeno, negli innesti di gennaio, che avrebbero dovuto cambiar volto al Catania trascinandolo (almeno) verso il quinto posto. Senoché tali innesti si sono l’uno dopo l’altro dimostrati incapaci di tirare la carretta. Che si trattasse di senatori prossimi alla pensione come Marchese o di velleitari lungagnoni di colpo imbrocchiti come Pozzebon.

Ci è finita quindi come sappiamo: accontentandoci di sperare che il Catania venisse ripescato nell’ultimo posto disponibile per disputare i play off. Obbligando i più ottimisti tra noi a considerare l’ipotesi che da quel momento, per fatale e miracolosa metamorfosi, i nostri brocchi e i nostri pensionati cominciassero a divorare l’erba del terreno di gioco, a fare un sol boccone degli avversari e a dare finalmente soddisfazione alla nostra fame di soddisfazioni. Speranza che s’è prevedibilmente dissolta non appena ha dovuto confrontarsi con il campo. Proiettandoci già a maggio verso un futuro denso di aspettative autotrainanti.

L’allenatore? Si diceva tempo fa che era già stato preso. Ma a tutt’oggi le trattative con il principale candidato, Lucarelli, vanno per le lunghe, e tornano ad affacciarsi sui giornali rose di alternative più o meno credibili. I problemi finanziari? S’è detto che il peggio è passato, che avremo davanti dopo tre stagioni il primo torneo senza punti di penalizzazione, che il campionato dei conti, almeno questo, è stato vinto. Senonché adesso viene fuori che non è stata ancora risolta la grana di Rinaudo, un altro lascito – l’ultimo? – della dissennata gestione cofirmata da Pulvirenti e Cosentino. Con tutto il carico di incertezze che l’affare proietta sulla stagione che deve ancora cominciare.

A dire il vero, per poter guardare al futuro con qualche ragionevole aspettativa di trovarlo migliore del passato, per poterla finire una volta per tutte di mettere il carro della speranza davanti ai buoi della realtà, sarebbe molto utile che questi buoi ci fossero davvero. E cioè che ci fosse, a tirare avanti i progetti del Catania, una proprietà seria, non sputtanata da scandali, non inseguita dai creditori delle varie aziende del gruppo, in grado di programmare gli investimenti necessari per un ritorno a categorie dignitose. Una società, tra l’altro, in grado di essere credibile quando richiama i tifosi allo stadio, senza doversi aspettare che ai suoi appelli segua lo spettacolo di spalti deserti e curve silenziose. Uno scenario completamente diverso dall’attuale, che potrebbe in teoria concretizzarsi solo in presenza di due necessarie condizioni: che ci siano sul mercato acquirenti interessati a investire sulla piazza di Catania. E che l’attuale proprietà sia disposta a vendere a un prezzo ragionevole, restituendo alla città ciò che, per colpa di questa proprietà, le è stato tolto.

Ma tutto ciò presuppone che ci sia in giro qualcun altro, oltre a noi tifosi sedotti e abbandonati, che abbia veramente a cuore le sorti di questa squadra. Un presupposto che – la storia degli ultimi anni ci avverte – è tuttora indimostrato. Segno che anche a noi, a ben vedere, capita purtroppo spesso di mettere il carro davanti ai buoi.